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| (ilMessaggero.it) CITAZIONE Il vescovo di Viterbo: «Questo matrimonio non s'ha da fare: lo sposo è paraplegico»
di Arnaldo Sassi VITERBO (7 giugno) - Potrebbe essere tranquillamente classificata come una riedizione dei “Promessi sposi” di manzoniana memoria in versione XXI secolo la vicenda che nel capoluogo della Tuscia, città tradizionalista e papalina (da non dimenticare che qui si celebrò, nel 1268, il conclave più lungo della storia, che durò ben 33 mesi e portò all’elezione di Gregorio X), sta scuotendo le coscienze di molti e provocando l’ennesima frattura tra Chiesa e società civile. Una vicenda che vede nel ruolo di don Abbondio (o forse di don Rodrigo?) il vescovo viterbese Lorenzo Chiarinelli, il quale ha detto no al matrimonio religioso di due ragazzi perché lui è diventato improvvisamente paraplegico e quindi è messa in dubbio la sua capacità di procreare.
La vicenda è complessa e drammatica allo stesso tempo. I due promessi sono due normalissimi giovani (hanno entrambi 25 anni) della media borghesia viterbese che, dopo qualche anno di fidanzamento, decidono di convolare a giuste nozze, tra fiori bianchi e candele, nonché con l’immancabile abito bianco di lei. Ma il destino, che talvolta è atroce, ci si mette di mezzo. A meno di due mesi dalla fatidica data, lui è protagonista di un bruttissimo incidente stradale che mette in pericolo la sua vita. Dopo qualche giorno di sala di rianimazione riesce a recuperare, ma la sentenza dei medici è comunque una tegola in testa: nell’urto è stata lesa la spina dorsale e quindi il ragazzo ha perso l’uso degli arti inferiori. Solo il tempo e le cure potranno dire se un giorno la capacità motoria potrà essere recuperata. Di fronte a questa nuova quanto drammatica situazione, i due ragazzi si interrogano. Sul loro futuro. Insieme o divisi? La risposta - com’è facile intuire - non deve essere stata facile, ma alla fine è determinata. I novelli Renzo e Lucia decidono che affronteranno uniti più che mai il resto della loro vita e decidono altresì che il matrimonio dovrà celebrarsi nella data che era stata precedentemente stabilita. Una sfida del loro amore al destino vigliacco.
Tutto risolto quindi? Neanche per idea. Perché quando i due sposini comunicano la loro decisione al parroco, lui chiede una dichiarazione di consapevolezza dei rischi e delle difficoltà future cui andranno incontro. Loro ci rimangono un po’ male, più che altro per quella che potrebbe apparire come una mancanza di fiducia nei loro confronti, ma accettano di buon grado di mettere nero su bianco. Del resto la loro determinazione è tale che nulla può fermarli. Il foglio di carta viene dunque recapitato al vescovo Chiarinelli, il quale neanche chiama i due giovani per un eventuale colloquio. La sua risposta è “non possumus”, senza tanti giri di parole, perchè non è certa - da parte di lui - la capacità di procreare. E così niente candele, niente altare, niente marcia nuziale. Ma l’abito bianco, quello sì, la sposa lo indosserà lo stesso, quando tra qualche giorno andrà a pronunciare il fatidico sì in Comune, davanti al sindaco.
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