| Team Tema Libero |
| | “Quel giorno” L'ultimo appuntamento di oggi è con Tony: un paziente speciale che mi considera più un amico che un medico perché, oltre a curarlo, l'ho aiutato a rifarsi una vita. Tutto è iniziato in quel giorno (come lo chiama lui) di otto anni fa, quando fu trovato agonizzante ai margini di una stradina secondaria. Investito un'auto rubata, era in coma per un gravissimo trauma cranico, aveva numerose fratture ed era rimasto lì per ore, prima che qualcuno lo vedesse e chiamasse i soccorsi. Fin dall’inizio ci era apparso praticamente spacciato ma, invece, ci fu un miracolo: uscì dal coma dopo un mese, guarì dalle fratture e, grazie a una lunga riabilitazione fisica, tornò a muoversi e camminare quasi normalmente. Dal punto di vista neurologico rimase, però, un danno rilevante: la perdita della memoria. Lui non ricordava chi era, da dove veniva, cosa faceva in quel luogo; con sé non aveva documenti, bagagli o altri oggetti che aiutassero a identificarlo. Non portava orologio, non aveva tatuaggi o altri segni particolari, i vestiti e le scarpe erano di marche comuni. Dimostrava circa 25 anni, parlava un italiano senza inflessioni dialettali, con parole che rivelavano una buona cultura ma non davano nessuna indicazione precisa sui suoi studi. Aveva anche un’ottima conoscenza dell’inglese, il che faceva supporre che fosse stato all’estero o usasse spesso quella lingua. Ovviamente, non ricordare nulla della sua vita prima di quel giorno lo angosciava e non poteva vivere senza un'identità: decisi di aiutarlo a ritrovarla. La Polizia non poté fare nulla: nei loro archivi non c'erano le sue impronte digitali o altre tracce. Chiesi ai giornali di pubblicare la sua foto con l'appello, per chi lo riconoscesse, a contattarmi. Molti credettero di vedere in lui un parente o un amico di cui non avevano più notizie e vennero a trovarlo. Ma, al di là della rassomiglianza con le persone cercate, troppi elementi non coincidevano: la statura, il colore degli occhi, l'assenza di nei, cicatrici o protesi dentarie. Provai, allora, con quel programma televisivo che si occupa di persone scomparse e da lì arrivò la risposta: lo sconosciuto si chiamava Tony Beltrami, era nato in Inghilterra da genitori italiani morti alcuni anni prima ed era venuto in Italia per una vacanza. Voleva visitarla con comodo, girando a piedi o con l’autostop, dormendo negli ostelli e senza seguire un itinerario preciso; il fatto che, al momento del ritrovamento non avesse bagagli e altri oggetti personali faceva supporre che fosse rimasto vittima di una rapina. Risolto il problema dell’identità e ormai guarito, Tony tornò in Inghilterra ma non riuscì riprendere l’esistenza di prima; decise di tornare in Italia per ricominciare da capo e mi chiese di aiutarlo ancora. Gli trovai un lavoro, una casa e ne seguo tuttora la salute con periodiche visite di controllo. Non ha più recuperata la memoria ma vive, comunque, un'esistenza normale, simile a quella dei singles della sua età.
Arriva puntuale, come sempre; controllo gli esiti degli ultimi esami, lo visito e noto che si comporta in modo strano: di solito è tranquillo, sorridente, loquace mentre oggi è teso e taciturno, come se ce l’avesse con qualcuno. “Qualcosa non va, Tony?” “No dottore... ma c’è una cosa che vorrei dirle. Sento che oggi lei si è messa la sua solita colonia, ma l’ultima volta ne aveva usata un’altra che mi è sembrato di conoscere e, dopo qualche giorno, mi sono ricordato una cosa.” “Cosa?” “Che quella colonia si chiama Anderson's House... vero?” “Sì, ne ho trovato in casa un vecchio flacone e l’ho usata.” “Credo di averla usata anch’io ma molto tempo fa, sicuramente prima di quel giorno: non ho visto in giro di recente quel profumo.” “Ne sei sicuro?” “Certo, ricordo che aveva il flacone era rotondo, col tappo dorato e le scritte in corsivo, nere.” “Hai ragione: Anderson's House non è più in commercio e questo potrebbe essere un segnale interessante. Profumi e sapori hanno un forte potere evocativo e qualche parte della tua memoria può esserne stata stimolata. Magari potresti associare quel profumo a qualche situazione che hai vissuta e ricordare qualche dettaglio del tuo passato.” “Cioè, grazie a questo potrei riprendere la memoria?” “Non esageriamo: io ti consiglio di non sforzarla e lasciarla lavorare spontaneamente. Se ti dovesse tornare in mente qualcos’altro, me ne puoi parlare: lo sai che sono sempre a disposizione.” La visita prosegue, gli chiedo se ha avuto disturbi e come va il lavoro: mi risponde con tono pacato ma freddo, lontano, quasi ostile. Il controllo finisce in un silenzio teso: Tony si riveste, gli fisso il prossimo appuntamento e se ne va salutandomi appena.
Mi tolgo il camice, m'infilo la giacca e, dalla finestra, lo vedo andare verso il parcheggio. Come medico e amico, dovrei essere contento di come ha rimessa in sesto la sua vita; ma questa strana ostilità mi spaventa e vedo di nuovo, in Tony, un pericolo. E’ una bomba a orologeria che potrebbe rimettersi in moto... ed esplodermi in faccia! Il mio aiuto nei suoi confronti non è disinteressato e, per capirne il motivo, bisogna tornare a quel giorno. Otto anni fa stavo per diventare Primario e non avrei avuto problemi se non mi fosse capitato tra i piedi un concorrente inatteso: Aldo Menazzi. Io avevo titoli superiori ai suoi e molta più esperienza, ma lui godeva di raccomandazioni importanti e intendeva farle valere. Inoltre era viscido, invidioso, supponente e maldicente; uno abituato da sempre ad avere tutto e subito, a esercitare un potere assoluto su quelli che chiamava “i sottoposti”. Non mi ritengo una persona violenta, ma l’idea di poterlo avere come superiore mi parve insopportabile e la situazione mi ossessionò al punto che decisi di toglierlo di mezzo senza farmi nessuno scrupolo. Sapevo che Menazzi faceva jogging, verso sera, tra i campi della periferia: ne spiai orari e percorsi, elaborai un piano. Un mio conoscente, anziano e molto distratto, parcheggiava sempre l’auto lasciandovi le chiavi: era un catorcio che nessuno avrebbe rubato, ma andava benissimo per il mio scopo. La presi, andai nel luogo scelto e vidi il mio rivale camminare lungo la stradina volgendomi le spalle. Il sole era tramontato, non c’era molta luce: spensi i fari, accelerai, puntai l'auto su di lui e chiusi istintivamente gli occhi nell’attimo dell’impatto, come se temessi di vedere quanto stavo facendo... Bum! La botta fu fortissima, il corpo volò sul cofano anteriore, quasi sfondò il parabrezza e rotolò a lato. Scesi subito e lo vidi a terra, decisamente malridotto; mi chinai su di lui, mi guardò per qualche secondo tentando di dire qualcosa, poi chiuse gli occhi e perse i sensi. Ma non era Menazzi: avevo investito uno sconosciuto!! Mi sentii un perfetto idiota: se avessi tenuto gli occhi aperti e i fari accesi forse mi sarei accorto dell’errore che stavo facendo e avrei evitato quel pasticcio. E poi, anche se il luogo era fuori mano, poteva sempre arrivare qualcuno (magari il Menazzi!) e sorprendermi in quel frangente... persi la calma e fui preso dalla fretta di rimediare all’accaduto. Pensai fosse utile ritardare il ritrovamento e l'identificazione della mia vittima: gli tolsi l'orologio, il portafogli, la catenina, il braccialetto e lo spinsi nel fossato al margine della strada. Nascosi l’auto dietro a una casa disabitata che era nei pressi, tornai indietro a piedi senza incontrare nessuno e presi un autobus in una fermata abbastanza lontana. Portai con me lo zaino che la vittima aveva con sé e, dal suo contenuto, seppi fin dall’inizio la sua identità e le sue intenzioni; non mi fu chiaro, invece, perché si trovasse in quella stradina: si era perso? Il giorno dopo ripresi servizio in ospedale ed ebbi la sorpresa di vederlo arrivare in Terapia Intensiva. Avevo commesso un secondo errore: non mi ero assicurato che fosse morto; nei suoi ultimi momenti di coscienza mi aveva visto in faccia e, benché ci fosse poca luce, avrebbe potuto riconoscermi. Così, vissi i mesi seguenti in un’alternanza di paure e sollievi. La gravità delle sue condizioni mi fece sperare che non sopravvivesse, la sua “miracolosa” ripresa mi ridiede il terrore di essere scoperto. L’amnesia fu un vero colpo di fortuna e il suo ritorno all’estero mi fece sperare di non rivederlo più. La sua scelta di stabilirsi qui è stata un’altra brutta sorpresa ma, aiutandolo, mi sono guadagnata la sua fiducia. Ora, per colpa di un vecchio profumo usato casualmente, mi ritrovo in ansia. Forse non succederà nulla e la sua amnesia rimarrà invariata, ma cosa accadrebbe se Tony ricordasse il passato e quel giorno? E se lo stesse già ricordando? La sua strana ostilità di oggi, i suoi silenzi non potrebbero essere il segnale che lui ha ritrovato nella sua memoria qualcosa che m’incolpa? Ho di nuovo paura che la “bomba” scoppi, devo pensare a come evitarlo ma non so cosa fare. E, ancora una volta, mi rendo conto di essermi cacciato in situazione non solo terribile, ma anche inutile: una settimana dopo quel giorno, Menazzi accettò un incarico in un altro ospedale e io divenni primario!
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VOTATE!!!
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