Ispirata dall'iniziativa di Giulia e Oderico pubblico anch'io un racconto che avevo scritto quando fu proposto il tema "nel blu dipinto di blu". Solo il nome della protagonista è di fantasia, il resto è impresso nel mio cuore in maniera indelebile.
RACCONTO BLU
Era luna, anche se non era ancora l'una. Era luna e notte. E cielo.
Luna e occhi. Blu naturalmente.
Tutto ebbe inizio, come spesso accade, con uno sguardo. Nel caso di Misia, sull'uscio di quella baita in cui era capitata per caso, uno di quegli inviti all'ultimo momento, più che di uno sguardo si trattò di una colata di blu che le scivolò sul corpo, s'insinuò attraverso ogni poro per raggiungerle il cuore, ogni cellula, fino all'ultimo globulo rosso.
Il buio e il cielo quella sera erano liquido caldo nel quale lei inzuppava i contorni bevendone sfumature blu; le sembrava di fluttuare in un lago di miele addomesticato mentre si arrendeva sorpresa a quel mondo-ragazzo audace e un pò folle, con un piglio di sicurezza inusuale per i vent'anni o poco più che dimostrava.
Da quella prima immersione Misia non risalì in superficie per una settimana esatta. Tutto fu blu, ogni senso invaso: si aggirava sulla farfalla blu che lui aveva tatuata sulla spalla, rideva alla vista delle rose blu che lui le lasciava sull'auto, affondava il viso sul bavero del cappotto blu del ragazzo impregnato del suo profumo... Sembra strano a raccontarsi, ma così fu. Fino al sogno.
Lei scalava il cielo, i piedi affondati nel blu/nulla ma consistente che occupava tutto il tutto; intorno armonia condensata, braccia libere a supportare il corpo... D'improvviso mani di vento gelido la scaraventarono giù e Misia si ritrovò seduta sul letto cercando invano di connettersi con l'alba che le sussurrava qualcosa dalla finestra.
Squillò il telefono e le mani cattive del sogno entrarono con prepotenza in lei, reali come non mai, a sottrarle violentemente il drappo blu.
Strappo di cielo, mucchietto d'umanità ferita senza più colore, guidò per qualche ora lungo la litoranea, parcheggiò l'auto in prossimità di uno spuntone di roccia dal quale intravide una caletta sormontata dalla stessa; la raggiunse e, incastonata come una perla in quel guscio prezioso, lasciò che i frammenti strappati, almeno quelli conficcati più in profondità, si staccassero da lei e rotolassero fino alla prima onda buona che se ne facesse carico. Respirava il blu a pieni polmoni ma era come se all'aria mancassero l'ossigeno o l'azoto. Era aria vuota. Boccheggiava. Immagini di balene spiaggiate con gli sfiatatoi dilatati all'inverosimile le scivolavano, seppur stridendo, tra le circonvoluzioni del cervello.
Attraverso le ciglia inondate improvvisamente la vide: una ragazza come tante, ma con qualcosa di inusuale tra le mani. La seguì con lo sguardo e la ossservò sedersi a poca distanza da lei, piantare tre rose blu nella sabbia e il viso al sole.
Sconquasso nelle viscere, corrente elettrica nella spina dorsale e quella frase dimenticata, di qualche sera prima, a tuonare nel cervello: "ti ho cercata per tutto il pomeriggio con le rose in macchina, ma dov'eri?"... Misia fissò le rose; la sconosciuta, mentre si alzava per andarsene, fissò lei, lasciando lì, come un totem fuori luogo e fuori tempo, il "regalo".
In macchina con quei fiori sulle gambe, Misia inizialmente si disse che forse stava impazzendo, ma subito dopo si convinse che per quanto assurdo fosse ciò che gli era capitato, a centinaia di chilometri dal luogo dove viveva, si trattava di una coincidenza, strana quanto si vuole, ma pur sempre una coincidenza.
Entrò in casa col prezioso fardello stretto al petto e, poggiando le chiavi al loro posto, buttò distrattamente uno sguardo alla libreria. Inquadrò un libercolo leggermente fuori posto e si avvicinò per rimetterlo in ordine. Poi tornò, spinta da non si sa cosa, sui suoi passi, si volse ancora verso il libro, l’aprì a caso e la frase, che sembrava fluttuare sulle pagine aperte, la lasciò senza fiato "Certo che sei una testa dura, i fiori blu sono per te, cos'altro devo fare per fartelo capire?".
Misia scivolò con la schiena contro il muro fino a rannicchiarsi a terra, mentre un senso di tepore la invase, distendendole ogni fibra del cuore.
Da quel momento, e per i due mesi successivi, Misia ebbe la certezza, confermata ogni volta che lo desiderava, che lui le fosse accanto: una canzone alla radio, proprio quella e proprio in quel momento, la solita farfalla che la cercava, perfino dentro casa, appoggiandosi sulla sua mano, sul braccio, sulla testa. Lui c'era, e lei sapeva che non era la sua fantasia ad inventarsi un palliativo per non morire; era un segreto meraviglioso, seppur turbato dalla sensazione crescente che una fine da lì a poco sarebbe sopraggiunta.
Infatti.
Ancora quel sogno, lo stesso: il cielo da scalare e mani, preziose questa volta, ad alleviare ogni fatica; una, due, cento volte, come un disco graffiato che torna su se stesso all'infinito.
Misia annaspò nella notte consapevole che quello fosse l'addio. Uscì di casa così com’era e corse da lui. Cancello chiuso; si arrampicò e lo scavalcò graffiandosi le gambe. Attraversò velocemente quei vialetti fiocamente illuminati che conosceva a memoria, lo raggiunse; appoggiò la fronte alla sua e così vide
gli occhi di lui che si fondevano finalmente con quelli del cielo.
Accostò anche la guancia a quella di lui, percorse con dita tremanti il contorno delle sue labbra e sorrise serena, occhieggiando l'indelebile pennellata di blu che avrebbe, per sempre , decorato la sua anima.
L'Angelo è lui:
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