| Il primo incontro con quella che sarebbe divenuta mia moglie avvenne in un ospedale nel gennaio 1981. Caso volle che una mia amica venisse operata di appendicite e, andatola a trovare, la mia attenzione fu catturata dalla sua vicina di letto reduce dallo stesso intervento. Notai che aveva sul comodino un libro piuttosto “impegnativo” e, appassionato di lettura, le chiesi di che argomento trattava e se le fosse piaciuto. Scoprii, così, che tra noi c'erano delle affinità ma che, diversamente da me, conduceva un'esistenza piuttosto solitaria consumata tra la scuola (frequentava l'Istituto Tecnico per Geometri) e una casa dominata da una madre dispotica. Il padre, ottima persona peraltro, preferiva non intervenire. Non me ne innamorai subito, ma capii che aveva bisogno di uscire da quel guscio e farsi nuovi amici: perché, allora, non introdurla nella compagnia di cui facevo parte? Deciso a invitarla, una sera tornai all'ospedale e lei, vedendomi, mi disse subito: “Guarda che la tua amica è stata dimessa ieri” “Io non sono qui per lei, ma per te!” Quella risposta la stupì: non era abituata all'idea che qualcuno s'interessasse a lei. Così le proposi di conoscere anche i miei amici e amiche, la cosa le piacque ma mi avvertì subito che sua madre non avrebbe gradita quella “ingerenza” nella vita di sua figlia, un affare che riteneva di sua esclusiva gestione. Da lì iniziò una storia lunga e travagliata, una guerra durata sette anni con una futura suocera gretta e invadente che non fece mai segreto di non sopportarmi. Ce ne successero di tutti i colori, ma ci volle ancora qualche mese per capire che lei poteva essere molto di più di un'amica: complice una breve (e clandestina) vacanza in montagna, conversammo a lungo scoprendo di essere praticamente fatti l'uno per l'altra e il resto venne da sé superando altri mille ostacoli, periodi difficili e qualche lutto. Se dopo tanti anni siamo ancora assieme è anche perché abbiamo dovuto faticare per ritagliarci un piccolo spazio di felicità e perderci sarebbe un costo insopportabile, il fallimento di un “investimento” (soprattutto sentimentale) su cui abbiamo puntato le nostre due vite
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