Tema Libero

[Premio Papazilla Nr 1] Ricordi davanti allo specchio, Basura (dal Tema: Di fronte lo Specchio)

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view post Posted on 18/7/2009, 06:32     +1   -1
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Noi troppo odiammo e sofferimmo: AMATE! La vita è bella e santo è l'avvenir (G.Carducci)

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Era confuso e dolorante. Con le gambe probabilmente spezzate, non le muoveva più, e la schiena a pezzi per i ripetuti colpi ricevuti, provava a strisciare via, da cosa non si sa. Doveva e voleva soltanto scappare. Se solo fosse fosse riuscito ad alzarsi. Le mani e le braccia cominciavano a perdere la forza, non riusciva più ad avanzare, non riusciva a fare più alcun metro lontano da dove era. La vista si annebbiava e sentiva che avrebbe perso i sensi da un momento all'altro. Riconosceva il vicolo, quello che faceva tutte le sere per tornare a casa, una scorciatoia che gli risparmiava almeno 20 minuti di strada, ma che gli permettevano di arrivare a casa giusto in tempo per il suo programma preferito. Tra immondizie, topi e gatti affamati, e qualche barbone steso a terra a dormire, non aveva mai avuto problemi in 10 anni che ci passava, da quando andò a lavorare al Mac come inserviente. Ora si ritrovava lui stesso a terra, ma non stava dormendo, stava strisciando via da qualcosa o qualcuno. Da una morte certa? Sicuramente era qualcosa di molto poco piacevole, che era lì, lo sapeva, lo stava osservando, non era scappato via. Le grida d'aiuto gli si fermarono in gola, non uscirono mai per raggiungere l'orecchio di qualche passante o qualcuno dei clochard che stava sicuramente rannicchiato tra un sacco di rifiuti di Hootie's e una coperta di vestiti usati raccimolati in giro per cassonetti. Ma che! E anche se l'avessero udito, quei parassiti se ne sarebbero guardati bene dall'aiutarlo, bastardi cacasotto. Scarti della società! Ecco cos'erano. Scarti! Non servivano a niente, nemmeno a soccorrerlo ora che ne aveva bisogno. Anzi, sicuramente ci godevano perchè in 10 anni che passava di lì, non lasciò mai uno spicciolo o un vestito usato, una coperta. Era la loro vendetta, bastardi! Lo lasciavano morire lì perchè non lasciò mai l'elemosina. Ma se solo avesse potuto alzarsi...

Lo guardava strisciare per terra come un serpente con la coda schiacciata da un auto. Lento e debole avanzava di pochi centimetri alla volta. Non voleva dargli il colpo di grazia ancora, forse non gliel'avrebbe dato mai. Per lungo tempo sognava questo momento. Passò interi giorni e intere notti a studiare i suoi movimenti. A seguirlo da casa al lavoro. Dal lavoro a casa. Qualche volte una deviazione al supermarket a comprare bistecche e latte. Si nutriva come una bestia, quale era. Questa notte sapeva a che ora sarebbe passato nel vicolo. Minuto più minuto meno. Raccolse una spranga da terra, una delle tante lasciate lì vicino da una impalcatura per la riverniciatura di una facciata del palazzo. Non ne scelse una tra tante, prese la prima che addocchiò, stando ben sicuro che nessuno lo vedesse, e si nascose dietro ad uno dei cassonetti ad aspettarlo. Quando arrivò, con la puntualità di un treno, esitò solo un momento dal colpirlo, non voleva abbatterlo, voleva solo rallentargli la corsa, poi abbassò con violenza la spranga all'altezza della spalla destra, poi senza aspettare che si rendesse conto di cosa stesse succedendo, sferrò altri colpi sulla schiena e sulle gambe. Queste soprattutto, cercò di passarle al tritacarne, perchè non si potesse più rialzare. Serviva che rimanesse a terra quell'animale.

Le forze cominciavano a mancargli. Stava per arrendersi al suo carnefice. Era ancora lì? Poteva voltarsi, poteva controllare e in caso, lasciarsi andare e dormire, qualcuno lo avrebbe trovato la mattina dopo. Ma non ne aveva il coraggio. E se quell'infame aspettasse soltanto che si girasse per sfondargli anche la faccia? Già lo immaginava con una mazza di baseball sollevata sopra la testa ad aspettare soltanto che voltasse la faccia per colpirlo. No, non avrebbe agevolato il suo lavoro. In realtà, non ne avrebbe avuto il coraggio. Si sentiva codardo. Sì. Preferiva che lo colpisse da dietro, che gli aprisse il cranio in due come una noce di cocco, piuttosto che “vedere”. La sola idea di conoscere il momento esatto della morte lo terrorizzava. Così, faccia a terra, sarebbe stata almeno una sorpresa, e forse non avrebbe sentito nemmeno nulla. Codardo, sì. Ma pure lui! Non ha avuto il coraggio di affrontarlo frontalmente. Lo ha colpito alle spalle quel bastardo. Se solo lo avesse affrontato faccia a faccia, lui.. Gliel'avrebbe fatta pagare.
Mosso dalla volontà di sopravvivere, e dalla rabbia verso quell'essere che lo aveva colpito e che forse era ancora lì ad osservarlo, cercò di farsi forza e di sollevarsi. Il peso del corpo gli comprimeva il petto e cominciava a faticare a respirare. Puntò le mani a terra come faceva spesso nel corpo dei marines quando era più giovane di 20 anni e quel movimento lo faceva centinaia di volte al giorno, e provò a stendere le braccia. Il braccio destro faceva male, lì aveva preso il primo colpo da dietro di quel bastardo, ma si sforzò al massimo per mettersi almeno carponi, se le gambe gliel'avessero permesso. Chiuse gli occhi e provò con tutte le forze rimaste, la schiena si riempì di spine, le ginocchia sembravano appoggiate su cocci di vetro, ma riuscì quasi a mettersi comodo, giusto per fare qualche respiro profondo, poi si sarebbe potuto lasciare anche andare, ma gli serviva una boccata piena di ossigeno. Distese quasi interamente le braccia, poi cadde di nuovo faccia a terra. Le braccia avevano ceduto. No, sentiva di potercela ancora fare, non erano le braccia ad aver ceduto. No, quell'animale lo aveva colpito nuovamente, codardo! Perchè però non sentiva più dolore? Forse l'adrenalina gli stava anestetizzando tutto il corpo? Voleva urlare, urlargli in faccia quanto era codardo. Voleva.
Cominciarono a riempirsi gli occhi di lacrime. Stava per piangere. La paura e il panico stavano per possederlo. Prima di potersene accorgere, stava già singhiozzando. Voleva chiedere pietà, voleva vivere. Voleva vedere la fine della sua serie preferita, voleva tornare a giocare a poker il giovedì sera nella bisca vicino a casa, voleva seguire il Superbowl di settimana prossima. Perchè doveva morire? Si sforzò, e forse in modo molto debole, ma in modo chiaro, riuscì a dire: “non uccidermi! Ti prego”. Solo un attimo dopo, una mano gli sollevò la testa all'indietro, e un'altra gli mise davanti una fotografia con i segni del tempo, di due ragazzi giovani abbracciati davanti ad un laghetto, e una voce all'orecchio: “Riconosci questi due?”

Era da tempo che sognava questo momento. 4 anni prima questo verme aveva rovinato la sua vita, ma la vendetta l'aveva meditata solo da qualche mese.
In una giornata di primavera lui e la sua ragazza Marie, una francese arrivata a New Jork in vacanza e rimasta per amore, presi dalla passione che da anni alimentava il loro amore, salirono sul di un palazzo quasi disabitato. Lui aveva fatto un sopralluogo qualche giorno prima, e lo trovava sicuro. Portarono con loro solo uno zaino, dentro un telo mare abbastanza grande per due, una bottiglia di spumante italiano e bicchieri di carta. Doveva essere un pomeriggio passato sotto il sole tra sorsate di vino ed effusioni amorose. Si trasformò in un incubo.
Dopo aver fatto l'amore si lasciarono andare ad un breve sonno sotto il sole. Lei aveva una gonna lunga a ventaglio e una camicetta, lui pantaloni della tuta e maglietta. Abbigliamento ideale per quel tipo di occasioni. Quando si svegliarono e si alzarono per andare via, alla porta che dava alle scale del palazzo c'era un uomo un po' sovrappeso, pantaloni corti cachi, camicia a fiori, cappellino e occhiali da sole. Aveva un ghigno morboso, probabilmente li aveva osservati tutto il tempo, quel maniaco. Lui gli gridò di andare via, ma non si mosse di lì. Ne seguì una scazzottata, ma il maniaco ebbe la meglio subito, e lui rimase a terra privo di sensi per pochi attimi. In tempo per assistere alla violenza su Marie. Aveva la camicetta strappata e il bastardo stava infilando le mani sotto la gonna. Lui non riusciva a muoversi, aveva le gambe fatte di budino, e doveva assistere alla sua ragazza che resisteva ad uno stupro. Il maniaco perse la presa per un attimo, il tempo per lei di sgusciare via e raccogliere la bottiglia da terra. Lo stava minacciando come se fosse una pistola. Lui rise e riuscì di nuovo ad avvinghiarla. Lei cercò di divincolarsi, ma lui era troppo forte. Cercò un paio di volte di colpirlo con la bottiglia, andando a vuoto, fino a quando lo colpì in pieno, riuscendo a liberarsi. Corse da lui in lacrime, cercando di farlo alzare e scappare, ma era ancora debole. Riuscì a malapena a mettersi in piedi e avviarsi verso le scale, quando da dietro un grido di rabbia si scagliò contro di loro. Lui non fece in tempo a reagire, un tonfo sordo e il rumore di un vetro andato in frantumi lo fece girare verso Marie, che cadde a terra priva di sensi. Si girò e vide l'uomo agitare la bottiglia rotta davanti alla sua faccia. Non tentò di reagire, solo di farlo calmare.
Si svegliò all'ospedale con la faccia mummificata dalle bende, aveva il volto sfigurato, Marie aveva il cranio sfondato e rimase in coma poco più di due anni. Morì in un ospedale in Francia, lontano da lui.
Il maniaco non fu mai preso, lui non fece mai l'identikit. Ma l'avrebbe cercato e gliel'avrebbe fatta pagare.

Stava cercando di rialzarsi, il verme. E stava chiedendo pietà. Era il momento giusto. Dalla tasca prese la fotografia di lei e lui in un Parco in Francia. Lei la teneva sempre nel portafoglio, e al funerale la madre di lei si avvicinò a lui e gliela pose. Ci fu da sempre un buon rapporto con i suoi genitori. Mise la fotografia davanti agli occhi del verme-maniaco e chiese: “Riconosci questi due?”

Perchè avrebbe dovuto riconoscerli? Due ragazzi comuni, una panchina e un parco. No, non se li ricordava. “No! Non ho idea di chi diavolo siano e non me ne frega niente. Fammi andare brutto pezzo di m.. ” non finì la frase. La mano che gli reggeva la testa ora gliela sbattè a terra, rompendogli con ogni probabilità il naso. Cominciava a sentire il sangue uscire copiosamente, la testa cominciava a martellare e si sentì quasi perdere i sensi. Poi una voce, quasi fuori campo disse: “Non ti ricordi i due ragazzi sul tetto? Brutto figlio di troia!?”

Quel bastardo era pure riuscito a dimenticare i loro volti. Chissà se quella stessa notte avrà dormito anche sonni tranquilli. Gli faceva sempre più schifo, e sempre di più gli veniva voglia di ucciderlo. Ma non prima che ricordasse il perchè era lì, faccia a terra col naso e le gambe rotte. “I due ragazzi sul tetto, stronzo! Quelli che avevi guardato mentre facevano l'amore, e sei rimasto lì magari a farti una sega. E sei stato lì anche dopo. Ci hai rubato tutto! L'intimità prima, la vita poi. Quella ragazza era la mia ragazza, stronzo! E ora è morta. Le avevi sfondato il cranio con la nostra bottiglia preferita, ora ricordi?” Sì che ricordava ora. Per un attimo gli si è fermato il respiro. Il cervello ha recuperato i ricordi! Bene, non gli serviva nient'altro. Ora poteva compiere la loro vendetta!

Era stato quanti anni prima? Tre anni? Forse quattro? Aveva vissuto con l'idea che la Polizia o qualcun altro prima o poi avrebbero bussato alla sua porta e presentato il conto da pagare. Ma dopo un po', era sicuro di averla passata liscia, che nessuno si era poi fatto troppo male. Certo, il ragazzo l'aveva lasciato a terra con la faccia piena di tagli, e la ragazza l'aveva colpita violentemente, ma dopo così tanti anni. Questo doveva succedere tanto tempo prima, non ora. “Scusa!” prima debolmente. “Scusami!” più forte. Voleva sembrare il più credibile possibile. Ma di tutta risposta sentì solo la spranga di prima colpirgli le spalle, poi la schiena, ripetutamente. I primi colpi li aveva anche sentiti, poi più niente, colpiva carne morta, o quasi. Doveva avergli rotto la schiena. Quell'animale gli aveva rotto la schiena! Doveva ucciderli entrambi! Sarebbe marcito in galera, ma avrebbe avuto ancora le sue gambe.
Stava per perdere i sensi, questa volta sì. Ormai non gli importava più niente. Ma sì, che lo ammazzasse. Che la facesse finita. Era stanco. Sì sentì trascinare. Una mano gli aveva afferrato il polso e lo stava tirando. Non riusciva a vedere. Non riusciva ad aprire gli occhi, o forse non voleva. Era ormai un bambolotto. Potevano fare di lui quello che volevano. Si sentì voltare, aprì gli occhi e vide il cielo buio. Non c'era nemmeno una stella. L'unica luce era quella di una porta sul retro che aveva la lampadina sempre accesa. Forse per permettere ai barboni di lì di vedere quel poco che bastava per trovare dove mettersi a dormire, o per rovistare nell'immondizia. Due mani lo presero per la giacca e lo sollevarono. Adesso era seduto, con la schiena appoggiata ad un muro gelido. Il sangue ora gli scendeva dal naso direttamente alla bocca. Ne sputò un primo fiotto, poi lasciò che seguisse il suo percorso naturale. Sentiva gocciolare sangue anche dalla fronte, negli occhi, bruciava. Vide finalmente il ragazzo. Era buio, ma quella debole luce della lampadina poco distante da lì riusciva comunque a distinguere certi particolari. Vide una faccia deforme, che si avvicinò a lui e gli parlò. Non sentì cosa gli disse, ma vide molto bene adesso le cicatrici che ricoprivano tutto il volto.

Era in preda alla furia. Era come una palla che rotolava giù da un dirupo. Non riusciva a fermarsi. Avrebbe voluto che quella notte non finisse mai. Il desiderio di vendetta ormai si era trasformato in un morboso sadismo. Sangue, voleva solo sangue. Si avvicinò a lui e gli disse: “Ora mi diverto io, stronzo!”. Arretrò di qualche passo. Alzò la sbarra sopra la testa. Ancora prima di abbassarla con violenza sapeva già cosa avrebbe visto. Avrebbe centrato in pieno il cranio, il corpo non sarebbe caduto e avrebbe colpito ancora. Voleva aprirglielo in due fino a renderlo completamente deforme. E avrebbe continuato a colpire fino ad accasciarsi sfinito. Non vide più niente, non sentiva più niente. Era sprofondato in uno stato di trance. Solo la testa di lui, e il ricordo di quel giorno di primavera con Marie, morta per mano di un maniaco. Tese i muscoli, spalancò gli occhi, e sferrò il primo colpo.

Non chiuse gli occhi, questa volta. Rimase a guardare il carnefice arreso all'idea di morire. Sperava solo che il primo colpo lo tramortisse subito. Voleva finisse il prima possibile. Non chiuse gli occhi nemmeno quando vide partire la spranga che lo avrebbe spedito all'altro mondo. Esisterà davvero il paradiso e l'inferno? Farei ancora in tempo a redimermi e a chiedere scusa come diceva il cappellano del suo quartiere quando sua mamma lo portava a messa tutti i sabati sera e le domeniche mattina? Avrebbero accettato anche lui lassù? E avrebbe incontrato anche la ragazza?
Non chiuse gli occhi, aspettò che lo facessero da soli. Ma la spranga non lo avrebbe mai colpito. Il ragazzo davanti a lui gli cadde addosso come un elefante abbattuto. La spranga finì per terra, ma lui non sentì alcun suono.
Pochi istanti dopo, due uomini lo sollevarono da terra e lo sdraiarono su un lettino? Erano i soccorsi? Quando sono arrivati? Chi li ha chiamati?

Qualche settimana dopo sarebbe uscito dall'ospedale. Doveva ringraziare uno di quei clochard che ogni giorno da anni vedeva a terra ma che non aveva mai considerato, che aveva però con se un cellulare. Ne lui ne il ragazzo affamato di vendetta lo hanno sentito parlare con la Polizia. E ne lui ne il ragazzo avevano sentito la Polizia urlare il fermo. Una fortuna?

L'uomo uscì dall'ospedale spinto da una collega del Mac dove lavorava. Le lesioni alla colonna lo inchiodarono alla sedia per tutta la vita. E se non fosse bastata la sedia a ricordargli il passato, ci avrebbe pensato lo specchio. Quel ragazzo sbattendogli la faccia a terra gli aveva deformato la faccia. Il naso deviato, zigomi e mandibola ricostruiti, una placca di metallo in fronte. Ogni volta che si sarebbe guardato allo specchio, avrebbe ricordato quella primavera di tanti anni prima quando, spinto da una irrefrenabile eccitazione, rovinò l'amore di due ragazzi, e la vita di tre.




VOTATE!!!
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Edited by _basura_ - 19/7/2009, 15:29
 
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SirLancillotto
view post Posted on 27/7/2009, 08:27     +1   -1




Inizio io il confronto con l'autore visto che non lo fa nessuno.
La domanda che mi pongo è, ci ho visto bene nell'interpretazione del tuo racconto data qui o erano solo mie p...e mentali? :tl_denti1:
 
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view post Posted on 27/7/2009, 08:49     +1   -1
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Su questo punto vorrei una risposta anch'io, visto che gli ho detto che secondo me era fuori tema :tl_denti1:
 
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_basura_
view post Posted on 27/7/2009, 12:36     +1   -1




Sir, più o meno. Diciamo che sono partito da un'idea dell'occhio per occhio e dente per dente che rende i due protagonisti uguali su sponde diverse, quindi allo specchio. Inoltre lo specchio ricorda attraverso gli sfregi sulla faccia, al primo la violenza subita insieme alla ragazza, e al secondo la vendetta subita dal primo.

Non ho pensato allo specchio invece nel modo di scrivere prima di uno e poi dell'altro, però come succede spesso, i recensori vedono spesso più di quello che vede il responsabile del lavoro.

Giulia, perchè sarebbe stato fuori tema secondo te?
 
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SirLancillotto
view post Posted on 27/7/2009, 12:40     +1   -1




Beh, allora diciamo che non erano tutte p...e mentali le mie!
 
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_basura_
view post Posted on 27/7/2009, 13:12     +1   -1




No, non tutte...
 
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view post Posted on 27/7/2009, 13:25     +1   -1
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CITAZIONE (_basura_ @ 27/7/2009, 13:36)
Sir, più o meno. Diciamo che sono partito da un'idea dell'occhio per occhio e dente per dente che rende i due protagonisti uguali su sponde diverse, quindi allo specchio. Inoltre lo specchio ricorda attraverso gli sfregi sulla faccia, al primo la violenza subita insieme alla ragazza, e al secondo la vendetta subita dal primo.

Non ho pensato allo specchio invece nel modo di scrivere prima di uno e poi dell'altro, però come succede spesso, i recensori vedono spesso più di quello che vede il responsabile del lavoro.

Giulia, perchè sarebbe stato fuori tema secondo te?

Non avevo capito dell'attinenza con lo specchio; cioè che raccontavi che la vita dell'uno con la vendetta finale, si sarebbe rispecchiata per sempre nella vita dell'altro.

Che fine ha fatto il povero ragazzo? In galera immagino, non c'è giustizia neanche nei racconti :tl_denti1:
 
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deljla
view post Posted on 27/7/2009, 14:46     +1   -1




Bas, che io sia stata rapita dal tuo racconto si è visto subito.... Avevo addirittura intercettato le intenzioni rispetto al tema :tl_denti1:

Ancora complimenti, spero di rileggerti presto :tl_kiss:
 
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_basura_
view post Posted on 27/7/2009, 15:51     +1   -1




Grazie dei complimenti deljla. Mi fanno un enorme piacere.

Giulia. IL ragazzo vendicativo l'ho fatto morire. :lol:
 
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view post Posted on 27/7/2009, 18:19     +1   -1
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In un mondo di John e di Paul io sono Ringo Starr

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Il concetto di "specchio" che hai spiegato poc'anzi non mi era molto chiaro e riporta un po' più in "tema" il racconto rispetto a quanto ho pensato al momento del voto.

Comunque mi è piaciuto e devo dire che solo dopo aver saputo che ne sei tu l'autore, ho riconosciuto lo stile di altre cose che avevi postate in precedenza.

And now... aspetto anch'io la tua prossima performance.
 
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_basura_
view post Posted on 27/7/2009, 21:22     +1   -1




Io non vedo l'ora sinceramente...
 
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_basura_
view post Posted on 14/6/2010, 11:17     +1   -1




Che ve ne pare così??? Si nota la differenza da prima??

Edit:

(Il mio racconto ripassato da un editor)

Era confuso e dolorante, con le gambe probabilmente spezzate; non le muoveva più.
Con la schiena a pezzi per i ripetuti colpi ricevuti, provava a strisciare via, ma non sapeva da cosa. Doveva e voleva soltanto scappare, se solo fosse riuscito ad alzarsi.
Le mani e le braccia cominciavano a perdere forza, non poteva avanzare, non era in grado di fare più neanche un metro. La vista si annebbiava e sentiva che avrebbe perso i sensi da un momento all'altro. Riconosceva il vicolo, quello che faceva tutte le sere per tornare a casa, una scorciatoia che gli risparmiava almeno venti minuti di strada, e gli permetteva di arrivare a casa giusto in tempo per il suo programma preferito. Tra immondizie, topi e gatti affamati, e qualche barbone steso a terra a dormire, non aveva mai avuto problemi in dieci anni che ci passava, da quando era stato assunto al Mac come inserviente. Ora si ritrovava lui stesso a terra, ma non
stava dormendo, strisciava via da qualcosa o qualcuno. Da una morte certa?
Sicuramente era poco piacevole. Che fosse lì, lo sapeva, lo stava osservando, non era scappato. Le grida d'aiuto gli si fermarono in gola, non poterono uscire per raggiungere l'orecchio di qualche passante o uno dei clochard che stava sicuramente rannicchiato tra un sacco di rifiuti di Hootie's e una coperta di vestiti usati, racimolati
in giro per cassonetti.
Macché! E anche se l'avessero udito, quei parassiti si sarebbero guardati bene dall'aiutarlo; bastardi cacasotto, scarti della società! Ecco cos'erano. Scarti! Non servivano a niente, nemmeno a soccorrerlo, ora che ne aveva bisogno. Anzi, sicuramente ci godevano perché in dieci anni che passava di lì, non aveva mai dato
uno spicciolo o un vestito usato, nemmeno una coperta. Era la loro vendetta, bastardi!
Lo lasciavano morire lì, perché da lui non ebbero mai l'elemosina.
Ma se solo avesse potuto alzarsi...


Lo guardava strisciare come fosse un serpente con la coda schiacciata da un’auto.
Lento e debole avanzava di pochi centimetri alla volta. Non voleva dargli il colpo di grazia, non ancora. Aveva sognato a lungo quel momento.
Interi giorni e intere notti trascorsi a studiare i suoi spostamenti, per seguirlo da casa al lavoro; dal lavoro a casa. Qualche volta una deviazione al supermarket per comprare bistecche e latte. Si nutriva come la bestia che incarnava.
Quella notte sapeva già, minuto più, minuto meno, l’ora in cui l’altro sarebbe passato nel vicolo. Dopo aver raccolto una delle tante spranghe metalliche sparse nel cantiere dei verniciatori, si era guardato attorno per assicurarsi di non essere a tiro di altri occhi che avrebbero potuto scoprirlo. Per nascondiglio aveva scelto un cassonetto dei rifiuti, e lì lo aveva atteso.
Quando l’altro era arrivato, con la puntualità di un treno, lui aveva esitato solo un momento, non intendeva abbatterlo, voleva soltanto rallentargli la corsa. Poi, deciso, aveva sbattuto con violenza la spranga all'altezza della spalla destra.
Senza aspettare che l’altro si rendesse conto di cosa stesse succedendo, lui sferrava altri colpi alla schiena e sulle gambe. Quelle, soprattutto, doveva passarle al tritacarne affinché non
avesse più potuto rialzarsi. Serviva che rimanesse a terra, quell'animale.


Le forze cominciavano a mancargli. Stava per arrendersi al suo carnefice. Era ancora lì? Forse poteva voltarsi per controllare e, nel caso fosse solo, lasciarsi andare e dormire; qualcuno lo avrebbe trovato la mattina dopo. Ma non ne aveva il coraggio. E se quell'infame aspettasse soltanto che lui si girasse per potergli sfondare anche la faccia? Già lo immaginava con una mazza da baseball sollevata sopra la testa, ad aspettare che voltasse la faccia per colpirlo. No, non avrebbe agevolato il suo intento.
Ma si sentiva un codardo. Sì, preferiva che lo colpisse da dietro, che gli aprisse il cranio in due come una noce di cocco, piuttosto che “vedere”. La sola idea di conoscere il momento esatto della morte lo terrorizzava. Così, faccia a terra, sarebbe stata una sorpresa, e forse non avrebbe sentito nulla. Codardo, sì, ma anche l’altro!
Non aveva avuto il coraggio di affrontarlo frontalmente. Lo aveva colpito alle spalle, quel bastardo.
Se solo lo avesse affrontato faccia a faccia, lui… Gliel'avrebbe fatta pagare.
Mosso dalla volontà di sopravvivere, e dalla rabbia verso quell'essere che lo aveva colpito e che forse era ancora lì ad osservarlo, cercò di farsi forza per sollevarsi. Il peso del corpo gli comprimeva il petto e respirare diventava faticoso. Puntò le mani a terra come faceva spesso nel corpo dei Marines quando era più giovane di venti anni e
usava quel movimento centinaia di volte al giorno; provò a tendere le braccia. Il destro faceva male: lì aveva preso il primo colpo di quel bastardo, ma si sforzò al massimo per mettersi almeno carponi, sperando che le gambe gliel'avessero permesso. Chiuse gli occhi e provò con tutte le forze rimaste. La schiena si riempì di spine, le ginocchia sembravano appoggiate su cocci di vetro, ma riuscì a mettersi quasi comodo, giusto per fare qualche respiro profondo, poi avrebbe potuto lasciarsi andare, ma in quel momento gli serviva una boccata piena di ossigeno.
Distese le braccia quasi per intero, poi cadde di nuovo faccia a terra. Sentiva di potercela ancora fare. Non erano le braccia ad aver ceduto. No, quell'animale lo aveva colpito nuovamente, codardo! Perché non sentiva più dolore? Forse l'adrenalina gli stava
anestetizzando tutto il corpo? Voleva urlare, urlargli in faccia quanto l’altro fosse codardo. Avrebbe voluto…
Gli occhi cominciarono a riempirsi di lacrime. La paura e il panico stavano per possederlo. Prima di potersene accorgere, stava già singhiozzando.
Voleva chiedere pietà, voleva vivere. Voleva vedere la fine della sua serie preferita, voleva tornare a giocare a poker il giovedì sera nella bisca vicino a casa, voleva seguire il Superbowl della settimana prossima. Perché doveva morire?
Si sforzò, e piano ma in modo chiaro, riuscì a dire: “Non uccidermi! Ti prego”.
Solo un attimo dopo, una mano che lo afferrava per i capelli gli sollevò la testa all'indietro, e un'altra gli mise davanti agli occhi una fotografia segnata dal tempo: due ragazzi giovani, abbracciati davanti ad un laghetto.


Una voce all'orecchio: “Riconosci questi due?”
Da tempo sognava quel momento. Quattro anni prima, quel verme che ora strisciava ai suoi piedi, aveva rovinato la sua vita, ma il piano per la vendetta era maturato solo negli ultimi mesi.

In una giornata di primavera lui e la sua ragazza, Marie, una francese arrivata a New York in vacanza, poi rimasta per amore, presi dalla passione che da anni alimentava i loro cuori, erano saliti in un palazzo quasi disabitato. Lui aveva fatto un sopralluogo qualche giorno prima, e trovava quel posto sicuro.
Un solo zaino. Conteneva un telo da spiaggia abbastanza grande per due, una bottiglia di spumante italiano e bicchieri di carta. Doveva essere un pomeriggio sotto il sole, tra sorsate di vino ed effusioni amorose.

Si trasformò in un incubo.

Dopo aver fatto l'amore si erano lasciati andare ad un breve sonno sotto il sole. Lei aveva una gonna lunga a ventaglio e una camicetta, lui i pantaloni della tuta e una maglietta. Abbigliamento ideale per quell’occasione. Quando si erano svegliati, e alzati per andare via, alla porta che dava sulle scale del palazzo c'era un uomo sovrappeso,
pantaloni corti, tinta cachi, camicia a fiori, cappellino e occhiali da sole. Aveva un ghigno morboso; probabilmente li aveva osservati tutto il tempo, quel maniaco.
Lui gli gridò: “Vattene via!”, ma l’altro non si era mosso da lì.
Ne era seguita una scazzottata, ma il maiale aveva ottenuto subito la meglio, e lui era rimasto a terra, privo di sensi, per pochi attimi.
Si era ripreso in tempo per assistere alla violenza su Marie. Aveva la camicetta strappata, e il bastardo stava infilando le mani sotto la
gonna. Lui, al suolo, non riusciva a muoversi, sentiva le gambe come fossero di budino, e dovette assistere alla scena della sua ragazza che resisteva ad uno stupro.
L’aggressore perse la presa per un attimo, il tempo per lei di sgusciare via e raccogliere la bottiglia da terra. Lo minacciava come se in mano avesse una pistola.
Lui rideva e riuscì di nuovo ad avvinghiarla. Lei tentava di divincolarsi, ma lui era troppo forte. Aveva provato a colpirlo un paio di volte con la bottiglia, andando a vuoto, poi lo aveva preso in pieno volto, riuscendo a liberarsi. Era corsa da lui in lacrime, cercando di farlo alzare, per scappare, ma lui era ancora debole. Riusciva a malapena a mettersi in piedi e voleva avviarsi verso le scale, quando, da dietro, un urlo di rabbia si scagliò contro di loro. Lui non fece in tempo a reagire, un tonfo sordo, e il rumore di un vetro andato in frantumi lo fece voltare verso Marie, che cadde a
terra, priva di sensi. Si girò e vide l'uomo agitare la bottiglia rotta davanti alla sua faccia. Non tentò di reagire, solo di farlo calmare.
Si era svegliato all'ospedale con la faccia mummificata dalle bende, aveva il volto sfigurato. Marie, con il cranio sfondato, rimase in coma poco più di due anni. Morì in un ospedale, in Francia, lontano da lui.
Il maniaco non fu mai preso, perché lui non fece mai l'identikit. L'avrebbe cercato da sé, e gliel'avrebbe fatta pagare.

Stava cercando di rialzarsi, il verme. E chiedeva pietà. Era il momento giusto. Dalla tasca prese la fotografia di lei e lui immortalati in un parco francese. Lei l’aveva tenuta sempre nel portafoglio, e al funerale la madre della ragazza si era avvicinata per
porgerla a lui. C’era sempre stato un buon rapporto con i suoi genitori.
Mise la fotografia davanti agli occhi del verme maniaco e chiese: “Riconosci questi due?”

Perché avrebbe dovuto riconoscerli? Due ragazzi comuni, una panchina e un parco. No, non se li ricordava.
“No! Non ho idea di chi diavolo siano e non me ne frega niente. Fammi andare brutto pezzo di m… ” non finì la frase. La mano che gli reggeva la testa ora gliela sbatté sull'asfalto, rompendogli il naso. Cominciò a sentire il sangue uscire copiosamente, la testa
prese a martellare e sentiva che i sensi lo avrebbero abbandonato. Poi una voce: “Non ti ricordi i due ragazzi sul tetto? Brutto figlio di troia?!”
Quel bastardo era pure riuscito a dimenticare i loro volti. Chissà… quella stessa notte avrà dormito anche sonni tranquilli! Gli faceva sempre più schifo, e la voglia di ucciderlo aumentava. Ma non lo avrebbe fatto prima che ricordasse il perché si trovava lì, faccia a terra, col naso fracassato e le gambe triturate.
“I due ragazzi sul tetto, stronzo! Quelli che avevi guardato mentre facevano l'amore, e sei rimasto lì, magari a masturbarti. E sei stato lì anche dopo. Ci hai rubato tutto! L'intimità prima, poi la vita. Marie era la mia ragazza, stronzo! E ora è morta. Le hai sfondato il cranio con la nostra bottiglia preferita. Ricordi, ora?!”

Sì che ricordava, ora. Per un attimo gli si era fermato il respiro. Il cervello aveva recuperato i ricordi!

Bene, non gli serviva nient'altro: ora poteva compiere la loro vendetta!

Era avvenuto quanti anni prima? Tre anni? Forse quattro? Un tempo vissuto con l'idea che la Polizia o qualcun altro, prima o poi, avrebbe bussato alla sua porta e presentato il conto da pagare. Ma dopo un po' era sicuro di averla passata liscia, che nessuno, in fondo, si era poi fatto troppo male.
Certo… il ragazzo l'aveva lasciato a terra con la faccia piena di tagli, e aveva colpito violentemente la ragazza, ma dopo così tanti
anni... Questo doveva succedere tanto tempo prima, non quella sera.
“Scusa!” prima debolmente. “Scusami!” più forte.
Voleva sembrare credibile, quanto più possibile. Ma di tutta risposta sentì solo la spranga di prima colpirgli le spalle, poi la schiena, ripetutamente. I primi colpi li aveva sentiti, poi più niente. L’altro colpiva carne morta. Doveva avergli rotto la schiena.
Quell'animale gli aveva rotto la schiena! Doveva ucciderli entrambi! Sarebbe marcito in galera, ma avrebbe avuto ancora le sue gambe.
Stava per perdere i sensi, questa volta sì. Ormai non gli importava più niente.
“Ma sì, che mi ammazzi. Che la faccia finita”. Era stanco.
Si sentì trascinare. Una mano gli aveva afferrato il polso e lo stava tirando. Non riusciva a vedere. Non riusciva ad aprire gli occhi, o forse non voleva. Era ormai un fantoccio. Potevano fare di lui quello che volevano. Si sentì voltare, aprì gli occhi e vide il cielo buio. Non c'era nemmeno una stella. L'unica luce era quella di una porta
sul retro che aveva la lampadina sempre accesa. Forse permetteva ai barboni del vicolo di vedere quel poco che bastava per trovare dove mettersi a dormire, o per rovistare nell'immondizia.
Due mani lo presero per la giacca e lo sollevarono. Adesso
era seduto, con la schiena appoggiata ad un muro gelido. Il sangue gli scendeva dal naso direttamente alla bocca. Ne sputò un primo fiotto, poi lasciò che seguisse il suo percorso naturale. Sentiva gocciolare sangue anche dalla fronte, negli occhi, bruciava.
Vide finalmente il ragazzo. Era buio, ma quella debole luce della lampadina riusciva comunque a fargli distinguere certi particolari. Vide un viso deforme, che si avvicinò a lui e gli parlò. Non sentì cosa gli disse, ma vide bene le cicatrici che ricoprivano tutto il volto.


Era in preda alla furia. Come una palla che rotolava giù da un dirupo, non riusciva a fermarsi. Avrebbe voluto che quella notte non finisse mai. Il desiderio di vendetta ormai si era trasformato in una pulsione di sadismo. Sangue, voleva solo sangue.
Si avvicinò a lui e disse: “Ora mi diverto io, stronzo!”. Arretrò di qualche passo. Alzò la sbarra sopra la testa. Prima di abbassarla con violenza sapeva già cosa avrebbe visto.
Centrato in pieno il cranio, il corpo non sarebbe caduto e lui avrebbe colpito ancora.
Voleva aprirglielo in due, fino a renderlo completamente informe. E avrebbe continuato a colpire fino ad accasciarsi, sfinito. Non vide più nulla, non sentiva più niente. Era sprofondato in uno stato di trance. Solo la testa di lui, e il ricordo di quel giorno di primavera con Marie, morta per mano di un maniaco.
Tese i muscoli, spalancò gli occhi, e sferrò il primo colpo.


Non chiuse gli occhi, questa volta. Rimase a guardare il carnefice, arreso all'idea di morire. Sperava solo che il primo colpo lo tramortisse subito. Voleva finisse al più presto possibile. Non chiuse gli occhi nemmeno quando vide partire la spranga che lo avrebbe spedito all'altro mondo.
“Esisterà davvero il paradiso e l'inferno? Farei ancora in tempo a redimermi e a chiedere perdono” come diceva il cappellano del suo quartiere quando sua madre lo portava a messa tutti i sabati sera e le domeniche mattina? Avrebbero accettato anche lui, lassù? E avrebbe incontrato la ragazza?
Non chiuse gli occhi, aspettò che lo facessero da soli.

Ma la spranga non lo avrebbe mai più colpito. Il ragazzo davanti a lui gli cadde addosso come un elefante abbattuto. La spranga finì per terra, ma lui non sentì alcun suono.
Pochi istanti dopo, due uomini lo sollevarono da terra e lo sdraiarono su un lettino.
Erano i soccorsi?
“Quando sono arrivati? Chi li ha chiamati?”.

Qualche settimana dopo sarebbe uscito dall'ospedale. Uno di quei clochard che ogni giorno, da anni, vedeva a terra e non aveva mai considerato, aveva con sé un cellulare. Né lui né il ragazzo affamato di vendetta lo avevano sentito parlare con la Polizia.
E né lui né il ragazzo avevano sentito la Polizia urlare il fermo.

L'uomo uscì dall'ospedale spinto da una collega del Mac dove lavorava. Le lesioni alla colonna lo inchiodarono alla sedia per tutta la vita. E se non fosse bastata la sedia a ricordargli il passato, ci avrebbe pensato lo specchio.
Quel ragazzo, sbattendogli la faccia a terra, gli aveva cambiato il volto. Il naso deviato, zigomi e mandibola ricostruiti, una placca di metallo in fronte. Ogni volta che si sarebbe guardato allo specchio, avrebbe ricordato quella primavera di tanti anni prima quando, spinto da una irrefrenabile eccitazione, bruciò l'amore di due ragazzi, e la vita di tre.

Omar al. bas
 
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11 replies since 18/7/2009, 06:32   763 views
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