Breve viaggio sentimentale (su una ferrovia secondaria)
(Colonna sonora:
https://www.youtube.com/watch?v=Lao2ul4piFs )
Non mi aspettavo che la mia giornata potesse cambiare in modo così inatteso: due ore fa guidavo sull'autostrada e, di colpo, l'auto s'è fermata.
Il meccanico del soccorso stradale di L. è stato chiaro: si è rotta la cinghia della distribuzione, il motore ha svalvolato, il danno è grave; per raggiungere O., dove mi aspettano, devo prendere il treno.
Da L. a O. non è un viaggio lungo: lo so perché ho abitato qui e questo treno l'ho preso per diversi anni, dall'inizio del liceo alla fine dell'università.
Ora, seduto in un questo vagone, cerco di rilassarmi mentre vedo scorrere davanti a me un paesaggio che conosco. Ripenso alla gente che ho conosciuto allora, ai compagni, agli insegnanti e, soprattutto, alle ragazze.
Si dice che i marinai abbiano una ragazza in ogni porto; io ne ho avuta una per ogni stazione intermedia, sia pure in periodi diversi.
Dopo 10 minuti di tragitto, il convoglio si ferma a Fontenuova: qui abitava Gilda e, caso strano, sale una ragazza che le somiglia un po’. Si siede davanti a me e la sua presenza mi aiuta a ricordarla.
Era il primo anno di liceo: spaesati in quel treno pieno di sconosciuti, avevamo fatto subito amicizia e trascorrevamo quei viaggi parlando di scuola, musica e altro.
Aveva i capelli biondi a caschetto e un simpatico nasino lentigginoso; il suo fisico snello lasciava intravedere forme belle ma sempre ben coperte da un vecchio montgomery, jeans e maglioni.
Dopo poco, ci eravamo messi insieme e ci vedevamo anche nei giorni in cui non c'era scuola; spesso l'andavo a trovare in motorino, dato che Fontenuova è vicina a L.
Badavamo, però, a non farci notare troppo: Gilda diceva che i suoi erano severi e non volevano sentir parlare di ragazzi, fidanzati o corteggiatori.
Ovviamente, non passavamo il tempo solo a conversare e passeggiare, però non andavamo al di là di qualche bacio e poche carezze. Io avrei voluto spingermi un po' più oltre, lei non voleva.
Pazientai fino a una sera d'estate, quando tornai a proporle qualcosa di più “intimo”... al suo ennesimo rifiuto, insistetti allungando le mani un po' più del solito, ma lei la prese male, mi mandò a quel paese e io feci altrettanto.
“In amore vince chi fugge”, mi avevano detto: mancavano tre settimane alla ripresa della scuola e decisi che, per tutto quel periodo, non mi sarei più fatto vedere né sentire, convinto che il mio disinteresse l'avrebbe costretta alla resa.
Vidi, invece, risalire Gilda sul treno, mano nella mano con uno studente più grande, suo compaesano: ero stato scaricato.
Il viaggio prosegue, si fa sera, la ragazza davanti a me legge un libro e il treno arriva alla seconda fermata: Torre Santo Stefano, dove abitava Barbara.
Per un'altra, originale combinazione, anche lì sale una ragazza che me la ricorda molto e si siede nella fila a fianco: come lei, non è molto alta, è formosa, ha capelli neri e ricci.
Barbara aveva un anno meno di me e frequentava un'altra sezione del mio liceo: le davo qualche “dritta” nelle materie in cui era debole e questo mi rendeva simpatico nei suoi confronti. La “scintilla” era scoccata in un pomeriggio invernale: nel treno quasi deserto, lei mi aveva abbracciato, dandomi un bacio da levare il fiato... un inequivocabile segnale di “via libera”!
Barbara era l'esatto contrario di Gilda: a lei non spiaceva affatto farsi toccare e accarezzare liberamente, ricambiando le mie effusioni. Godeva anche di una certa libertà: i suoi erano separati, viveva col padre (quasi sempre assente per lavoro) e la nonna.
Quest'ultima, buona ma un po' svanita, era una sorvegliante facile da eludere.
E' stato grazie a Barbara che mi sono fatto una “cultura” sull'anatomia femminile, ma non andavamo mai “fino in fondo”, limitandoci a un petting più o meno spinto.
La nostra storia durò fino al giorno in cui, stesi su un prato dietro casa sua, lei mi diede due notizie.
La prima: stava per trasferirsi col padre in un'altra città, quindi non ci saremmo più rivisti.
La seconda: prima di andarsene voleva “farlo con me”, là e subito.
Non chiedevo di meglio, ma l'emozione mi fregò... e feci una brutta figura. Barbara, che si era aspettata ben altro, non nascose la sua delusione mandando il mio orgoglio virile a farsi benedire.
Non avemmo nemmeno il tempo per riprovare.
Passa il controllore: la bruna che sembra Barbara le chiede l'orario di un treno tra O. e un'altra città; la biondina che somiglia a Gilda non alza gli occhi dal libro.
E' quasi buio quando arriviamo alla terza fermata, Arginelli: quella di Nicoletta.
Anche qui sale una ragazza che me la ricorda molto e prende posto dietro di me: una brunetta minuta, con le curve al posto giusto e lo sguardo un po' sfrontato.
Io ero al primo anno di università, lei ripeteva la 4^ allo scientifico: la notai sia per il fisico che per la sua faccia triste.
Un giorno la vidi piangere di nascosto, le porsi un fazzoletto e quel gesto ruppe il ghiaccio: mi raccontò che il suo ragazzo l'aveva lasciata e non riusciva a dimenticarlo. Provai a consolarla e lei mi lasciò fare... anzi, prese l'iniziativa!
Più che il suo ragazzo, le mancava il sesso che faceva con lui e io rimediai ben volentieri a quel “problema”.
Il mio orgoglio virile, dopo l'insuccesso con Barbara, si risollevò grazie alla focosa Nicoletta che, inoltre, disponeva di un comodo rifugio: il monolocale di una cugina assente per lavoro, dove si recava per prendere la posta e controllare che tutto fosse in ordine.
In quel periodo io saltai molte lezioni all'università e Nicoletta si curò poco del liceo: avevamo di meglio da fare.
Ma quella storia, per quanto intensa, era troppo “carnale” per durare a lungo. Quando le dissi che la volevo lasciare, Nicoletta non ne fece una tragedia: nel giro di pochi giorni aveva già “reclutato” un altro pendolare.
Il treno fa la sua ultima fermata a Villa Pasquali, il sobborgo di O. dove abitava Claudia.
Anche qui una ragazza sale e si siede accanto a me: come Claudia è poco vistosa, veste modestamente, è pettinata con un'ordinaria coda di cavallo.
La conobbi quando ancora frequentavo Nicoletta: era anche lei una “matricola” e avevamo viaggiato per anni sullo stesso treno senza mai notarci. Forse, ci saremmo ignorati per sempre se non fossimo casualmente saliti su un bus urbano sbagliato per poi dover tornare indietro a piedi.
Durante la camminata ci eravamo messi a chiacchierare e mi era piaciuta subito la sua tranquillità, il modo con cui parlava del suo presente e del suo futuro. Era calma, rassicurante, pulita, diversa da molte delle ragazze che avevo conosciute fino ad allora.
Mi disse che non cercava storie con uomini, ma si diceva comunque disposta a “fare spazio nella sua vita” a uno “giusto” per fare con lui “un lungo tratto di strada assieme”, se lo avesse trovato.
Da quel giorno non eravamo più due sconosciuti: più la frequentavo e più mi accorgevo che con lei non “parlavo” ma “comunicavo”, riuscivo ad esprimere meglio me stesso e i miei pensieri. La cosa più bella era ritrovarla per riprendere le nostre conversazioni, la più triste lasciarla perché eravamo arrivati all'università o alla sua stazione.
Con Claudia tutto mi appariva chiaro, semplice, naturale; tutto sembrava arrivare al momento giusto.
Così, quando lei mi disse che, se lo volevo, io avrei potuto prendere posto nella sua vita, risposi subito sì e mi sentii non solo felice, ma anche importante.
Arrivò anche il sesso, ma senza nessuna fretta, con una spontaneità e una dolcezza mai provate prima d'allora.
Ormai il treno è entrato a O. e rallenta la sua marcia; guardo ancora le ragazze, e penso: dove sono, ora, Gilda, Barbara e Nicoletta?
Dell'ultima non ho saputo più nulla; Gilda insegna in una scuola media, nella classe frequentata da una mia nipote.
Barbara l'ho riconosciuta, casualmente, nell'orribile programma di “liscio” di una TV locale: canta in un'orchestrina che si chiama “I Masters”.
E Claudia?...
Il treno sosta poco prima della stazione, forse aspetta un semaforo verde: dal finestrino vedo, un po' lontana ma ben riconoscibile, l'ultima “tappa” di questo viaggio.
Come dicevo, con Claudia è arrivato tutto al momento giusto: il fidanzamento, la laurea, il matrimonio.
Nostro figlio, Raffaele, nacque due anni dopo e fece in tempo, anche lui, a vedere e capire “l'imprevisto” (chiamiamolo così) che accadde a sua madre: gradualmente e inesorabilmente, a Claudia divenne impossibile camminare, muoversi, mangiare, parlare, respirare...
I medici parlavano di una malattia “degenerativa e progressiva”, qualcuno di loro prospettava la possibilità di una “terapia di sostegno”, ma nulla di più.
Ciò che ho appena visto è la sede di una clinica di cui non posso fare il nome: lì è nato Raffaele e Claudia vi è stata ricoverata anche in seguito. Fino al giorno in cui, attraverso la macchina con cui poteva “ parlare”, mi ha detto di non farcela più.
E' stato allora che ha chiesto a me e ai medici di "lasciarla andare": anche quella volta ho detto sì, benché non fossi felice.
Il treno arriva al binario 7 della stazione di O.
Appena scendo, il telefonino suona: è l'azienda per cui lavoro. Faccio sapere che sono arrivato e confermo i miei impegni: la cena di stasera, gli appuntamenti di domani.
La macchina la recupereranno loro, la filiale locale me ne fornirà un'altra.
Riattacco: più tardi chiamerò anche Raffaele, che è dai nonni e non vedo da due settimane.
Esco dalla stazione e prendo un taxi: il mio inatteso viaggio sentimentale è finito, la mia vita continua... anche se non so ancora bene come.
VOTATE!!!