Notte in città
Quella sera non riuscivo proprio a dormire, faceva un gran freddo, ma la notte era splendida; nel cielo, tempestato di stelle, spiccava la luna piena: sembrava governare la vita. Nell’estrema periferia i lampioni erano spenti e questo rendeva più fulgida la luce degli astri; l’aria era tersa e profumata. Percorrevo lentamente le strade deserte e mi sembrava di vivere qualcosa di magico, d’unico.
Godevo la bellezza che solo la notte, con quel suo alone di mistero, riesce a trasmettere; mi sembrava di vivere in un'altra dimensione, il silenzio era palpabile. Erano poche le luci accese nelle case, dietro ad ognuna di esse una vita, una storia; la luce tremolante, che illuminava una finestra, mi fece immaginare una cena romantica a lume di candela, ma poi, l’ombra di una donna, che passeggiava avanti e indietro, mi trasmise la sensazione di una mamma che cullava il suo bambino insonne.
Poco più avanti, nel centro della città, venivano lavate le strade, l’acqua formava delle piccole pozzanghere nelle quali si riflettevano i lampioni dalla forgia antica; i visi degli addetti alla pulizia, apparivano come spenti, annoiati, pensai che una breve pausa ristoratrice, presso l’unico bar aperto, li avrebbe confortati e sottratti, per qualche istante, al freddo pungente della notte. All’improvviso una luce azzurra, lampeggiante, che accompagnava la sirena di un’auto della polizia, mi riportò alla triste realtà, la prima cosa che mi venne in mente fu l’inseguimento di qualche malvivente sorpreso con le mani nel sacco. Infatti, grazie alla complicità del buio, è proprio durante la notte che avvengono la maggior parte dei furti e delle rapine. Seguii con lo sguardo quell’auto che si fermava; sopraffatta dalla curiosità sopraffatta, scesi per andare a vedere cosa fosse successo.
Lo spettacolo che si mostrò ai miei occhi mi colpì dolorosamente: avvolto in un cartone, circondato da stracci e bottiglie vuote, giaceva un uomo, pallido, scalzo, vestito miseramente; lì accanto, poggiate in un carrello del supermercato, s’intravedevano, pigiate dentro scatole e buste di plastica, le sue povere cose. La mia attenzione fu attratta da una gabbietta avvolta in un cartone per salvaguardare dal freddo il pappagallino che si trovava all’interno. Un gesto d’amore verso quella piccola creaturina, unico compagno di vita. Provai una gran pena al pensiero di tante persone prive d’affetti e di un tetto sotto cui rifugiarsi. Persone costrette a dormire sui gradini di una Chiesa, su una panchina o, come in questo caso, in un angolo di marciapiede, avvolti di niente, esposti alle intemperie. Immaginai la loro lotta per sopravvivere in un mondo che li aveva rifiutati o che era stato rifiutato.
Intorno all’uomo, che giaceva inanimato, si erano radunati alcuni derelitti che condividevano la sua stessa sorte, apparivano visibilmente provati da un’esistenza di stenti, ma nei loro occhi s’intravedeva tutta la solidarietà e il dolore per la sorte del loro sfortunato compagno. Cercavano, farfugliando, di spiegare che il loro amico non rispondeva, che era freddo, che non riuscivano a svegliarlo. Arrivò l’autoambulanza, ma il medico, fra la costernazione e la disperazione dei clochard, non poté fare altro che costatarne la morte. I suoi compagni presero la gabbia con il pappagallino:una fragile vita che ora toccava loro preservare.
Fu a quel punto che arrivò un furgone dal quale scesero dei ragazzi; si trattava dei volontari, che ogni notte girano la città per distribuire, ai senzatetto, bevande calde, coperte, abiti e altri generi di prima necessità. M’intrattenei a parlare con uno di loro che mi spiego come, grazie alla beneficenza della gente, e grazie al riciclaggio di merci prossime alla scadenza, fornite dai supermercati, potevano portare un po’ di sollievo alle persone che vivevano nelle strade. Conosceva bene l’uomo morto, mi raccontò che era un giovane architetto di appena 40 anni, che da 10 viveva lì sul marciapiede; dopo una delusione d’amore, che gli aveva sconvolto la mente, aveva lasciato tutto, lavoro, casa, amici per unirsi all’esercito dei senzatetto.
Con il cuore stretto in una morsa di dolore, riflettei sulla tragedia alla quale avevo appena assistito e a quante cose avvengono in una notte senza che ce ne rendiamo conto. Pensai che esiste una vita parallela di cui spesso non sospettiamo neppure l’esistenza. All’infuori di qualche uscita serale per un cinema, un teatro o una cena con gli amici, non mi era mai capitato di compiere un giro notturno per le strade della mia città e non mi ero mai resa conto di quanta gente sola e disperata vivesse sulla strada.
Salii di nuovo in macchina ed il caldo dell’abitacolo mi avvolse con un abbraccio piacevole. Faceva veramente freddo, proseguii il mio peregrinare lungo i quartieri e le vie che più amavo e, tra il luccichio d’alberghi importanti, mi trovai in una strada piena di vita nonostante l’ora tarda. Mentre osservavo lo scintillio delle vetrine che mostravano le loro merci, ed i bar con i gazebo esterni forniti di grosse stufe per riscaldare gli avventori schiavi del fumo, mi tornò alla mente quello che avevo appena vissuto; pensai che il calore di quelle stufe avrebbe potuto salvare la vita di una persona.
Fui distratta dalla vista d’alcune bellissime ragazze che, dopo una breve contrattazione, salivano su delle auto lussuose per una nottata di sesso a pagamento. Quello spettacolo mi apparve veramente squallido! Probabilmente, alcuni di quegli uomini erano ammogliati e avevano dei figli; probabilmente, tornati a casa, si sarebbero giustificati con l’ennesima menzogna senza neppure abbassare gli occhi.
Ma non mi soffermai a lungo su quel che stavo vedendo, il mio pensiero tornava sempre al poveretto morto di freddo e di stenti, non riuscivo a capacitarmi di quella morte così assurda. Ora mi trovavo in un quartiere dove la gente stava vivendo la notte in maniera del tutto diversa, pensai al paradosso dell’esistenza, alle sue diverse sfaccettature: alla morte e alla vita.
Seguitai a guidare, immersa nelle mie riflessioni, le strade del centro pullulavano di persone: ragazzi chiassosi, spensierati; ero passata, dall’assoluto silenzio della zona in cui abito, ad un chiacchiericcio allegro, rumoroso; mi trovavo in mezzo ad un frastuono di risate e scherzi, che mi tolsero di dosso la tristezza. Molti giovani erano radunati davanti ad una cornetteria dove si sfornavano brioches calde, erano allegri e anche un po’ brilli, dopo la nottata trascorsa in discoteca
Poco più in là, l’edificio carcerario si mostrava in tutta la sua imponenza, notai la sentinella nella garitta, un ragazzo giovane, tutto impettito nella sua uniforme blu, pensai: “poveretto! sembra imbalsamato per il freddo!”. Era tutto buio, non s’intravedevano luci a causa delle paratie di legno e questo rendeva quel caseggiato ancora più lugubre. Cercai d’immaginare cosa stesse accadendo al suo interno. Forse qualcuno non riusciva a dormire e si rigirava nelle misera brandina, altri immersi nel sonno, erano preda dei loro fantasmi, e altri ancora sognavano la libertà e una vita normale.
Cominciava ad albeggiare, stava per iniziare un nuovo giorno e la città si andava via, via animando. Notai alcuni furgoni dai quali venivano scaricati dei grossi ombrelloni, che dovevano essere posizionati sopra le bancarelle di mercanzie, nella grande piazza che ospitava il mercatino della domenica. Era ancora abbastanza buio, ma occorreva arrivare presto per accaparrarsi il posto migliore dove era più facile smerciare tutto
Mentre proseguivo nel mio girovagare, notai un ubriaco che camminava barcollando, ed ogni tanto si fermava a chiacchierare con un lampione. Chissà quali storie gli raccontava con la mente offuscata dai fumi dell’alcool, o quali tormenti gli stava confidando. Ai lati della strada, i gatti randagi, si arrampicavano sui cassonetti alla ricerca di qualcosa da mangiare in attesa che arrivassero come sempre le gattare con il pasto giornaliero.
Ad un tratto, vidi un prete che si affrettava con passo veloce verso il vicino ospedale, la tonaca svolazzante, le mani, raccolte sul petto, sembravano custodire qualcosa di sacro. Pensai che stesse andando a portare l’estrema unzione a qualche moribondo. Fu in quel momento che mi salì dal cuore, spontanea, una preghiera di ringraziamento a Dio per il meraviglioso dono della vita, di cui potevo ancora godere. Copiose lacrime cominciarono a rigare le mie guance. Ero profondamente commossa e nello stesso tempo triste, forse in quel nosocomio erano ricoverati anche bambini, assistiti dalle loro mamme in pena. Potevo capirle, sono momenti terribili, avevo passato una brutta esperienza con il mio bambino, quando si trovò a lottare tra la vita e la morte. Ricordo, come fosse oggi, la disperazione di quei giorni, sembrava che il tempo non passasse mai mentre attendevo con ansia che il medico mi dicesse: “il suo bimbo è fuori pericolo”, furono 72 giorni d’inferno. Passavo le notti insonni al suo capezzale, per controllare che respirasse ancora; di tanto intanto mi avvicinavo alla finestra in attesa che sorgesse il sole.
Stavo ancora ricordando l’angoscia di quei giorni quando la mia attenzione fu attirata da un portone che si stava spalancando per lasciare uscire due donne una delle quali con un gran pancione. Davanti al portone c’era una macchina in attesa con il motore acceso, le donne vi presero posto, e l’auto partì di corsa con il clacson a tutto spiano. Di lì a poco si sarebbe ripetuto il miracolo della vita “la nascita di un bimbo”
Le ore passavano e sentivo la stanchezza di una notte insonne, decisi di dirigermi verso casa, cominciava a fare giorno, la luce nascondeva il luccichio delle stelle, la luna, sempre più sbiadita andava scomparendo per lasciare posto al sole che l’aveva illuminata durante la notte. I lampioni erano ormai spenti e nella debole luce dell’alba, intravidi una ragazza, sola in mezzo alla strada, che faceva l’autostop. Mi fermai, per farla salire, mi accorsi che stava piangendo, la feci sedere e cercai di farmi spiegare cosa le fosse successo, non riusciva a parlare, seguitava a singhiozzare; notai le calze strappate, i lividi e le abrasioni che aveva sulle gambe. Pensai al peggio, le chiesi se l’avessero violentata, fece cenno di no con la testa, insistevo, la vedevo troppo disperata; le proposi di andare all’ospedale o a fare la denuncia alla polizia. Finalmente riuscì a parlare e mi raccontò che, al ritorno da una festa, il suo ragazzo, in preda ad una scenata di gelosia, l’aveva scaraventata giù dall’auto.
La portai a casa mia, la disinfettai, le diedi un paio di calze nuove, poi, le chiamai un taxi e gli diedi i soldi per la corsa.
Una notte in giro per la città mi aveva mostrato i diversi lati dell’esistenza: alcuni tristi come la morte del clochard, la lotta per la vita negli ospedali, la disperazione di chi si ubriaca per superare momenti difficili e confida le sue pene ad un lampione che non lo giudicherà mai e i sogni infranti per un amore che finisce; ma anche alcuni belli come la probabile nascita di un bimbo, la spensieratezza di ragazzi che vivono la loro notte in allegria, l’opera instancabile delle forze dell’ordine che operano silenziose per vegliare sulla sicurezza dei cittadini, il lavoro dei volontari che si sacrificano per aiutare i più poveri ed emarginati, il magico mondo del silenzio che si apprezza dopo una giornata convulsa di traffico e rumori.
Durante quella notte ho vissuto più emozioni che in un anno intero. Forse perché la vita frenetica che viviamo durante il giorno non ci permette di soffermarci su ciò che accade intorno a noi. Nel buio della notte, si confondono le vite, a volte muoiono le speranze, ma vivono i sogni e non esistono i colori. Nel buio che avvolge tutte le cose, mentre molti dormono altri vegliano, la vita non si ferma, non si ferma mai e, anche se il mondo intorno a noi appare diverso, a volte più cupo a volte scintillante, è quello stesso mondo che affrontiamo ogni giorno, con le sue gioie e i suoi dolori. Ascolterò di nuovo il silenzio della notte, ma con il cuore aperto alla vita e con uno sguardo più attento a ciò che mi circonda.
VOTATE!!!