| Team Tema Libero |
| | Avevamo paura uno dell'altro Eravamo un buon gruppo di lavoro, numeroso, una quarantina di persone, piuttosto affiatato. Lavoravamo in banca, una parte agli sportelli e l'altra per le incombenze non a contatto con il pubblico. Credevo ciecamente nell'onestà di tutti e avrei messo la mano sul fuoco per ognuno di loro. Mi sbagliavo, evidentemente. Qualcosa incominciò ad incrinarsi un brutto giorno: un cliente si era lamentato di aver ricevuto dal suo creditore un sollecito per un pagamento che aveva già effettuato tramite nostro. Incominciammo quindi a fare le normali verifiche, però mancavano dei documenti che avrebbero dovuto esserci. E dopo il primo reclamo eccone un secondo, poi un terzo, un quarto e via. In ogni caso mancavano sempre dei documenti, in particolare mancava un pezzo di quel giornale di fondo sul quale i terminali registravano tutte le operazioni: proprio il pezzo sul quale avrebbe dovuto esserci quell'operazione per la quale era stato avanzato il reclamo, e solo quello. Diventò quindi abbastanza semplice indirizzare le ricerche in una ben determinata direzione: bastò cercare i punti nei quali il giornale presentava degli strappi per individuare almeno una decina di operazioni che sarebbe stato ingenuo definire soltanto “sospette”. Era chiaro oramai che ci trovavamo davanti a qualcuno che rubava: ma chi? Avevamo capito alcune cose: si doveva trattare di qualcuno abbastanza esperto nelle modalità operative, doveva nutrire la fiducia dei colleghi che gli permettevano di sostituirli in alcune fasi della loro operatività, cosa peraltro non difficile visto l'affiatamento che c'era. Non c'era molto da fare: l'Ispettorato arrivò come un falco e incominciò a indagare su tutti, me compreso. Però, almeno per le prime settimane, non riuscì a trovare nulla e nemmeno a restringere la lista dei sospettati. Intanto l'atmosfera si stava facendo irrespirabile, incominciavamo tutti a guardarci con sospetto, dai capi fino all'ultimo commesso. Anche i colleghi dell'Ispettorato sembravano annaspare nel buio, un giorno concentravano i loro sospetti da una parte, e il giorno dopo in tutt'altra direzione. Alla fine trovarono una strada: incrociare i momenti nei quali si erano verificati i furti con le assenze/presenze de personale. Così riuscirono a scartare un buon numero di sospettati, e concentrarono i loro sforzi su due o tre nominativi, sempre presenti al momento dei vari fattacci. Uno di questi, che chiameremo Mario anche se non è il suo vero nome, sembrava che potesse essere il candidato ideale: molto preparato sulle modalità operative, sempre presente nei momenti nei quali avvenivano i furti e che godeva della fiducia di tutti. Venne formalmente e pubblicamente incriminato dagli ispettori, e a nulla servirono le sue alte proteste di innocenza. Da un altro locale sentivamo le sue grida e i suoi pianti, che però, purtroppo, non servirono a far cambiare idea agli ispettori. Per loro il colpevole era lui e basta. Noi eravamo sbigottiti: un collega mi disse: «No, lo credo impossibile. Se fosse vero vorrebbe dire che non so più giudicare le persone e allora mandatemi via: vuol dire che non valgo più niente.» E anche io la pensavo così. Venne invitato, in attesa che finissero le indagini, a starsene a casa in aspettativa, aspettativa che ben presto si trasformò in malattia. Una malattia che una trentina d'anni fa non perdonava: il cancro. Il decorso del male fu molto rapido: pochi mesi e il nostro collega, fra dolori terribili, morì. Nessuno mi leva dalla testa che quell'accusa, rivelatasi poi ingiusta, sia stata determinante per il decorso e probabilmente anche per l'insorgere della malattia. Credo, anche se non sono un medico, che il dolore, la mortificazione per essere stato additato a tutti come un ladro, la rabbia per il sopruso subito siano stati la causa di un grave abbassamento delle sue difese immunitarie e quindi abbiano lasciato via libera al male. Avrà avuto al massimo trentott'anni. Dopo qualche tempo, forse un mese, venne trovato il vero ladro, anzi, la vera ladra. Ma questo oramai non aveva più importanza: Mario era già nel suo letto a urlare per il dolore in attesa della morte. Credo che sia stato l'unico caso nella storia della banca nella quale un malato terminale, già accusato di furto, abbia avuto una promozione sul letto di morte. Con questo “premio” si scaricarono la coscienza. C'è poco da aggiungere: finalmente il clima di sospetto fra noi colleghi sparì, e ricominciammo a guardarci negli occhi senza remore. Un uomo, un ragazzo era sotto terra, e una ragazza era stata licenziata in tronco e sarebbe finita sotto processo.
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VOTATE!!!
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