| Team Tema Libero |
| | Bianco, ovattato, silenzio
Ricordo perfettamente il momento dell’incidente. La brusca sterzata, l’albero che mi veniva incontro, l’airbag che esplodeva; ricordo le scintille di dolore, la fluida viscosità del sangue che mi scorreva sul volto, ed un lampo ...rosso... Ricordo l’acre odore del fumo, le sirene dei mezzi di soccorso, il rumore dei martinetti dei vigili del fuoco, i volti dei paramedici, la folle corsa in ambulanza e le voci concitate al pronto soccorso, poi... il silenzio. Ho ripreso coscienza di me qui, in una fredda, asettica, stanza; tutto è bianco, le lenzuola sul letto, le tende della finestra alla mia sinistra, la porta laccata, la tinta delle pareti... è così il paradiso? O questo è solo un ospedale? Cerco di muovermi ma non ce la faccio, riesco appena a voltare la testa, devo essere per forza in un ospedale, almeno a giudicare dalla serie infinita di tubi che escono ed entrano nel mio corpo e alle macchine che mi circondano. Da quanto sono qui? Un giorno, forse due? Sono confuso, la testa è piena di un milione di piccoli spilli, sembra stia per esplodere, oltre all’incidente non riesco a ricordare nulla... né dove stavo andando quella sera né da dove venivo, mi tranquillizzo pensando che sarà sicuramente dovuto al trauma che ho subito, ma quando nei meandri della mente cerco il mio nome... e non lo trovo... inizio ad urlare.
10 mesi...
Questo è quel che mi dicono i medici, sono stato, per dieci maledetti mesi, in coma. Mi sono svegliato solo ieri... urlando. Dicono che la situazione generale è buona –stabile è il termine che in realtà usano- per quel che riguarda il fisico, per i ricordi mancanti la diagnosi è amnesia dissociativa. Tutto sommato una definizione semplice per descrivere una situazione così terrificante. Dicono che la memoria potrebbe tornare, ma la cosa non è certa e non esistono cure... potrei aver dimenticato per sempre.
Chiedo loro chi sono, «Michel Brown» rispondono... un nome che non mi dice assolutamente nulla...
15 giorni dopo il risveglio.
C’è uno psicologo con me in questo momento, viene qui ogni giorno per un paio d’ore, sta cercando di aiutarmi a ricordare. Dubito possa servire a qualcosa, sembra che gli unici ricordi che ho siano legati a frammenti della mia vita fino ai vent’anni -o poco più- e siano spesso, dice lui, selettivi. Ricordo i miei amici e compagni dell’epoca, oggetti e luoghi ma nulla delle persone della mia famiglia, so che ci sono stati genitori e nonni, ma non ricordo i loro nomi né saprei dire che faccia abbiano, i loro volti rimangono sfuggenti, confusi. Non riesco nemmeno a ricordare se li ho ancora... dei genitori. Non so in che città abito, né come sia fatta la mia casa, se ho una famiglia, se ho degli animali, quali sono i miei piatti preferiti, che musica ascolto, se tifo per i Chicago Bears o per i Dallas Cowboys. Non so che auto che guidavo durante l’incidente, ma ho vivida nella mente l’immagine della mia prima auto, una Chevrolet Camaro... ...rossa...
So in che anno siamo solo perché qualcuno me l’ha detto... ma so in che anno sono nato: fu l’anno in cui l’uomo posò i piedi sulla Luna; ricordo Lisa, la ragazza dai grossi seni del terzo anno della high school, è con lei che ho avuto, e con me almeno la metà dei ragazzi della mia classe, la mia prima esperienza sessuale nella cantina della casa dei suoi, un pomeriggio dopo scuola, ricordo il suo odore ed i suoi respiri affannati e la mia paura di essere scoperto... e quella -ancora più grande- di fare cilecca. Ricordo la volta in cui mi ubriacai così tanto da non riuscire ad arrivare al letto e crollare addormentato nel giardino davanti mio residence al campus, ero con i miei due migliori amici, Ron e Dave, ma non ho la minima idea di dove siano o cosa facciano ora... e non capisco se non lo so perché ho perso i contatti con loro... o perché non lo ricordo. Ricordo le estati a Jacksonport, sul lago Michigan, nella grande casa dei nonni materni, ricordo perfettamente il grande giardino con il boschetto di eucalipti e la veranda dove si cenava, la grande sala con i cimeli di guerra appesi sopra al camino, ricordo la mia stanza nel sottotetto -il mio piccolo personale rifugio- con le pareti rivestite di legno, il poster di Madonna appeso sopra il letto e la piccola finestra affacciata sul tetto della veranda, passaggio obbligato per le mie fughe serali, coperta da una tenda... rossa...
Per il resto la mia mente è vuota, ma “vuota” non rende affatto l’idea di ciò che provo. Avete presente quelle mattine nebbiose, dove il mondo sembra scomparso nel bianco ma, dietro quella coltre, si intuisce la sua presenza? Dove tutto, luci e suoni, appare attutito? Dove un silenzio innaturale riempie l’aria? Dove l’unico essere al mondo, in quel preciso istante, siete voi? Dove a volte nasce il sospetto che, da un momento all’altro, da quel bianco possa uscire qualcosa di terribile? Ecco questa è la mia mente ora, le tessere della mia vita ci sono, le intuisco, le bramo e le temo al tempo stesso, ma sono nascoste dal bianco, ovattato, silenzio sceso a celarle alla mia vista.
29 giorni dopo il risveglio...
Il tempo passa ma la situazione non migliora minimamente, ho continui mal di testa e lampi di luce ...rossi... che mi annebbiano la vista. I giorni sono, tutto sommato, sopportabili, fra la riabilitazione e le sedute con Stephen, lo psicologo, ho poco tempo per pensare, ma le notti... le notti sono terribili, incredibilmente lunghe, dolorosamente insonni e la coltre bianca nella mia mente si fa silenziosamente assordante. Già, il silenzio... la cosa più pesante da sopportare, non ci si rende conto di quanto sia affollato il silenzio fino a che non ci si trova immersi nel suo soffocante abbraccio; ho provato prima a scalfirlo dolcemente, poi ad attaccarlo con rabbia, sono arrivato anche a pregarlo. Nulla. Ho provato a riempirlo, riempirlo di risposte, di certezze, di vividi ricordi... ma l’unica cosa con la quale, lui, mi ha permesso di riempirlo sono state lacrime e cieca disperazione. Vince, vince sempre...
I momenti in cui riesco a prendere sonno sono pochi e quei pochi sono tormentati da terribili incubi, memoria di quegli ultimi istanti che hanno cambiato la mia vita, accompagnati, puntualmente, da quel fugace lampo... ...rosso...
37 giorni dopo il risveglio...
Anche il silenzio di Stephen è assordante, le mille domande che gli rivolgo rimangono senza risposta: «Tutto a tempo debito» mi dice, ma il tono con il quale lo dice non mi convince, sento che c’è qualcos’altro, ma non riesco a capire cosa. Continua a ripetermi che non sono ancora pronto... mi chiedo quando lo sarò o se lo sarò mai, probabilmente impazzirò prima di avere una qualsiasi risposta... anche la più idiota: che diavolo di lavoro facevo, se andavo in chiesa, se facevo sport, dove cazzo ho passato l’ultima sera prima dell’incidente, niente, niente di niente. A volte lo odio.
55 giorni dopo il risveglio...
I miei genitori sono vivi! Stephen me lo sta dicendo ora, è la prima cosa che mi dice della mia vita precedente, me lo ha tenuto nascosto per non so quale motivo medico, me lo spiega ma non sto più ascoltando le sue parole, la mia mente è un turbinio di pensieri e di emozioni, sono troppo eccitato dalla notizia... finalmente riuscirò a vedere qualcuno che conoscevo prima che iniziasse tutta questa maledetta storia... Forse la loro vista mi aiuterà a rompere il silenzio della mia mente... ma ho il sospetto ed il terrore che possa non essere così. Verranno presto.
61 giorni dopo il risveglio...
Loro sono qui, ma la mia eccitazione svanisce nel momento stesso in cui varcano la porta della mia camera, sono i miei genitori ma per me sono dei perfetti estranei, nessun barlume, nessuna scintilla... nessun rumore: nulla. L’angoscia, che nei giorni passati era sopita nella trepidazione dell’attesa, torna a salire avvolgendomi lentamente, è una claustrofobica presenza che tenta di soffocarmi, non vedo vie d’uscita, mi sento perso... condannato... I loro volti sono rigati dalle lacrime, si avvicinano, la mano della donna –non riesco proprio a chiamarla madre- mi sfiora dolcemente una mano. La mia gola è arida, non riesco a parlare: dopotutto cosa puoi dire a due perfetti sconosciuti? Fortunatamente solo loro i primi a rompere il ghiaccio e a parlare... ma anche le loro parole sono una doccia fredda per me, non per quel che dicono ma per le loro voci, voci assolutamente sconosciute alle mie orecchie...
Com’è possibile dimenticare le voci di chi ti ha generato e cresciuto?
Mi raccontano alcuni di quei vecchi episodi dei quali ho ancora memoria... poi altri più recenti, che non ricordo affatto. La mia vita precedente. E’ Stephen, mi dicono, che gli ha suggerito di farlo iniziando con piccoli particolari... vengo così a sapere che ora vivo a Philadelphia e lavoro in una società di assicurazioni... e vengo a sapere anche i loro nomi: Martha e Carl. Fa un effetto strano conoscere i nomi dei propri genitori a 40 anni suonati...
Dal sorriso che lentamente nasce sui loro volti sembrano felici e sereni nel vedermi sano e salvo, ma, nonostante il sorriso, la velata serenità che vedo nei loro occhi è terribilmente simile al bianco ovattato silenzio che riempie la mia mente, lo percepisco chiaramente, come se avessero in loro un dolore immenso da celare gelosamente. E questo non fa che aumentare la mia angoscia.
67 giorni dopo il risveglio...
Sono sette giorni che i miei (nuovi) genitori passano a trovarmi, ho visto fotografie di mille persone sconosciute, zii, cugini, nipoti... non ho nemmeno riconosciuto mio fratello, Mark, vive in Europa ora, mi dicono che è stato al mio capezzale diverse volte durante i miei 10 mesi di coma e che tornerà presto; ho ascoltato mille e più racconti... ma, nonostante questo, il silenzio continua a vincere. Nonostante questo Mi sento meno teso, dopotutto peggio di così non può andare... (un lampo...rosso... attraversa la mia mente) ...oppure no?
Mia madre, mi sono abituato a chiamarla così oramai, tira fuori l’ennesima foto dalla borsetta, ma la strana espressione che le dipinge il volto mi provoca un immediato terrore. Inizio a tremare... non credo di voler guardare quella foto... Con voce rotta mi dice che la foto è stata scattata quella tragica sera, esattamente 12 mesi fa, pochi minuti prima che salissi in auto. Prendo in mano la foto... L’assordante silenzio che ha offuscato per mesi la mia mente viene violentemente spazzato via da un agghiacciante frastuono, è una marea di colori che sale impetuosa, una valanga di suoni che mi stordisce e riempie quel vuoto che, tanto gelosamente ed inconsapevolmente, ho tentato di proteggere, tutti gli spazi vengono riempiti, occupati...
In quella foto non sono solo... accanto a me c’è... ...c'era... lei. E' bellissima... ed è ed è avvolta in un elegante, sensuale, lungo abito... ...rosso...
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VOTATE!!!
Edited by Team Tema Libero - 2/3/2010, 11:52
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