Tema Libero

[Premio Papazilla Nr 5] Visita inattesa, di 16giulia

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Team Tema Libero
view post Posted on 10/5/2010, 17:22     +1   -1




Visita inattesa



Il vento fa sbattere ritmicamente l’anta della finestra creando una sorta di musica tribale, l’aria gelida che entra dagli spifferi fa muovere la tenda al ritmo della persiana. Non ho la voglia e la forza per alzarmi, ho freddo e sto accucciata sotto le coperte tappandomi le orecchie per non sentire quel rumore sordo e ripetitivo.-
In questo letto grande mi sento sperduta, mi viene un groppo in gola ma non voglio piangere Alessandro non merita le mie lacrime.
Ci siamo conosciuti a casa di amici comuni, bruno con gli occhi scuri, le ciglia lunghe, la bocca carnosa e un sorriso da adorabile cialtrone.-
All’inizio mi snobbava e questo non lo sopportavo. Mi sono avvicinata a lui con una scusa e da quel momento abbiamo ballato insieme per tutta la serata, mi ha chiesto di rivedermi e da allora non ci siamo più lasciati. La nostra relazione è andata avanti tra alti e bassi, lui mi dominava e a me, che ero di carattere ribelle, piaceva molto mi sentivo sicura e protetta. Mi ha lasciata con una di quelle frasi fatte che odio: “Luisa ho bisogno di un rapporto più stabile, di una famiglia, tu pensi troppo al lavoro prendiamoci una pausa di riflessione.”

Che banalità! Stavamo insieme da sei anni e mi ero annullata in lui. Quando dall’ufficio mi proposero di andare a gestire una delle filiali della ditta in una città a due ore di macchina da dove abitavamo, discutemmo per tutta la serata. Non voleva che andassi, dovevo stare con lui e anche quella volta rinunciai a un lavoro che mi avrebbe gratificata sia professionalmente che economicamente e che ora mi avrebbe fatto molto comodo. Il mio capo non la prese bene e da allora addio promozione e incentivi.

E ora che avrei fatto? Avevo quasi quarantadue anni ero sola e con un lavoro che non mi piaceva.
Ero quasi certa del responso, l’indomani avrei saputo.
Avevo tra le mani la busta ma non avevo il coraggio di aprirla, la misi nella borsa e tornai a casa. Feci le scale di corsa e senza neanche spogliarmi l’aprii: “Positivo”.
Ero incinta! Alla mia età non avrei mai pensato di passare un guaio simile. Sapevo già cosa fare non potevo certo occuparmi di un figlio.
Tornai subito in clinica, firmai il foglio col quale dichiaravo di voler interrompere la gravidanza, la dottoressa mi propose di farmi parlare con uno psicologo, ma le risposi che non era necessario. Era molto professionale ripeteva le cose in modo molto formale e distaccato. Mi disse che avevo a disposizione sette giorni per riflettere e decidere. Qualche giorno prima avrei dovuto fare degli esami e parlare con l’anestesista. L’intervento l’avrei fatto in day Hospital, mi sarei dovuta presentare alle sette del mattino e sarei uscita verso le 15. Non durava più di cinque minuti ma sarei dovuta rimanere qualche ora in osservazione. Avevo il terrore dei medici e dell’anestesia ma dovevo superare le mie paure.
Tornai a casa, mi guardai allo specchio e quasi non mi riconobbi, avevo lo sguardo assente, le occhiaie scure dovute alle notti insonni e i capelli non curati che scendevano mollemente sulle spalle. Ci mancava anche questo! Volevo pensare solo a me stessa. L’esperienza della geisha mi era bastata.-
Avrei dovuto dirlo ad Alessandro? No, no, conoscendo il suo desiderio di diventare padre sarebbe tornato da me solo per il figlio. Ero io ora a non volerlo più.
Quella settimana passò in una frenesia continua, feci di tutto! Corsi per chilometri fino a non avere fiato, feci lavori pesanti che non avevo mai fatto prima, trasportai scatoloni pieni di libri fino in cantina con la speranza di abortire naturalmente ma non successe nulla. Anzi tutto quel movimento mi faceva star meglio, avevo un appetito da lupi ero diventata bella con la pelle liscia e soda e gli occhi luminosi.-
Gli esami andavano bene. L’incubo stava per finire.


Dall’ampia finestra guardo il lago e i bambini che si divertono a lanciare nell’acqua le briciole di pane che le anatre divorano con voracità.- E’ una giornata tiepida, finalmente la primavera è arrivata. Sono stanca. L’artrite reumatoide mi fa soffrire, sta deformando le mie ossa e vado avanti a forza di antidolorifici. Mi accendo una sigaretta anche se so che non dovrei, il medico me le ha proibite sia per il cuore che per i polmoni. Ma chi se ne frega è vita questa? Sollevo lo sguardo e lo specchio antico riflette un volto grinzoso, gli occhi spenti e opachi. Ho settantacinque anni ma ne dimostro molti di più e d’altronde non mi sono certo risparmiata! Non avevo orari, bevevo, fumavo e ho dedicato tutte le mie forze e il tempo libero alla carriera. Se volevo ottenere qualcosa riuscivo a farlo anche con metodi non sempre leciti. Ma così andava il mondo e io non mi ponevo certo inutili scrupoli.
Sono circondata da oggetti lussuosi, quadri d’autore, bei mobili ma non mi danno l’appagamento che provavo anni prima quando li acquistavo quasi con frenesia e per il gusto di spendere. Nella sala della villa sul lago organizzavo delle feste favolose, invitavo le persone che contavano e che potevano essermi utili per fare più soldi. Ora che sono malata sento solo il peso della solitudine. Quelle persone potenti sono sparite come neve al sole. Ho avuto tanti uomini e li ho usati come molti di loro fanno con le donne, solo sesso e niente sentimento, di alcuni non ricordo neanche il nome. Amiche vere neanche a parlarne, le persone che stanno con me le pago profumatamente e a me sta bene così.- Vorrei poter comprare la salute ma quella purtroppo non si può acquistare.

La cameriera mi riporta alla realtà, mi dice che c’è una certa Franca Belli che mi vuole parlare. Non capisco chi possa essere ma le dico di farla entrare. E’ una donna molto bella, bruna con gli occhi grandi che mi osservano con uno sguardo non molto benevolo. Mi metto sulla difensiva, non le dico di sedersi per metterla in soggezione, la guardo con freddezza e le chiedo cosa voglia da me.
“Volevo solo conoscerti e farti una domanda che mi perseguita da quando ho saputo. Perché mi hai rifiutata? Perché mi hai abbandonata in quell’Ospedale?”
Ora sono spiazzata, sento che le guance avvampano e le mani sudate iniziano a tremare.- I miei sentimenti sono contraddittori vorrei quasi avvicinarmi a lei ma so che non è il caso, per me non è che una sconosciuta.-
Non può essere! Ma è vero, ora rivedo in lei lo sguardo fiero e gli occhi scuri di Alessandro che mi guardano con acredine.
Ho di fronte a me la figlia che non ho neanche voluto vedere e che ho lasciato per l’adozione più di trenta anni fa. Quando riesco a riavermi dallo choc le dico della decisione che ho preso di non abortire e con franchezza, forse per la prima volta nella vita, che non l’ho fatto per motivi etici o religiosi ma solo per la fobia che avevo di morire a causa dell’anestesia. Le dico anche che non avevo uno spirito materno e che dovevo pensare a costruirmi un futuro nel lavoro che mi gratificasse e che mi permettesse di vivere agiatamente come avevo sempre sognato. Come poteva vedere guardandosi attorno c’ero riuscita e questo per me era motivo d’orgoglio. Un figlio non era previsto e non avrebbe permesso che i miei desideri potessero realizzarsi.

Mi guarda con distacco : “Non puoi neanche immaginare il trauma che ho subito quando ho saputo che ero stata adottata. Ero una ragazzina molto curiosa e in una cartella di vecchie foto e documenti ho trovato la pratica con la richiesta di adozione. Mia madre era una donna che conservava tutto anche ciò che avrebbe perlomeno dovuto nascondere meglio. Mi è crollato il mondo addosso e in quel momento ho visto con occhi nuovi tutte quelle piccole cose che mi stupivano e che non capivo. Rivedevo quelle differenze di comportamento tra me e mia sorella che era nata due anni dopo di me. Se succedeva qualche litigio tra me e lei ero sempre io ad essere punita anche quando la colpevole era lei. All’inizio pensavo che fossero così ingiusti solo perché ero la più grande e anche di questo mi ero sentita in colpa, della gelosia che provavo per lei e che credevo immotivata. Mi sono sentita tradita e rifiutata due volte prima di tutto da te e poi da quei genitori che credevo fossero i miei e che mi avevano tenuta all’oscuro di tutto per poi comportarsi in maniera così spudoratamente differente. Da allora sono diventata combattiva e ho cercato di vendicarmi di tutte le angherie subite ma era solo apparenza, soffrivo parecchio e appena ho trovato un lavoro che mi permettesse di mantenermi ho lasciato quella casa e nessuno ha fatto nulla per trattenermi. Mi ritenevano una ragazza difficile e si erano sicuramente pentiti di avermi adottata.- Ho faticato non poco per riuscire a sapere chi fossi tu, la mia vera madre. Volevo guardarti negli occhi e capire perché mi avessi abbandonata. Sapessi quante volte ti ho seguita quando uscivi e quante volte avrei voluto fermarti per strada. Poi non l’ho fatto perché ho visto con quanta indifferenza e aria di superiorità ti rivolgevi ai camerieri, ai negozianti. Mai un sorriso, mai una carezza a un bimbo incontrato nel parco dove sedevi nella tua solita panchina.
Sempre sola, senza amici, le persone che stanno con te lo fanno solo perché le paghi.
Ora che ti guardo in questa bella casa piena di cose preziose ma inutili e che ti ho sentita parlare, capisco che questi oggetti sono come te: un guscio vuoto! Solo apparenza, tanto egoismo e niente altro. Se quel giorno fossi andata al tuo appuntamento in clinica mi avresti evitato molte amarezze. Mio padre poi che non sa neanche che esisto. E questo ti pare giusto? Hai deciso tu per tutti.”

Si alza, faccio solo il gesto per trattenerla ma è già arrivata alla porta. Esce lasciandomi per la prima volta sgomenta e senza fiato.





VOTATE!!!
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